lunedì 29 luglio 2013

EDUCARE, ISTRUIRE , FORMARE... E' UNA PAROLA...!

    La mancata condivisione ampia dei valori attribuiti a termini come questi crea non di rado, nel dibattito pedagogico, molta confusione.
    Stavolta, aiutandoci con la bella sintesi che ne ha fatto di recente Benedetto Vertecchi, vorremmo entrare nel profondo di queste tre azioni sinergiche affidate " anche " alla Scuola.

    Può sembrare una stravaganza che, coi tempi che corrono e con tutti i problemi che quotidianamente occorre affrontare, ci si preoccupi di questioni lessicali e ci si riprometta, com’è implicito nel titolo di questo intervento, di puntualizzare il significato di parole che tutti siamo soliti utilizzare, come educazione, istruzione e formazione. Eppure, se si ha la pazienza di seguire gli argomenti che mi appresto a esporre, si può giungere ad una conclusione diversa, e cioè che un po’ di chiarezza potrebbe giovare a porre il confronto su un terreno di maggiore correttezza e, soprattutto, potrebbe accrescere la consapevolezza relativa alle trasformazioni in atto nel sistema educativo italiano e in quelli dei paesi con i quali è più frequente l’abitudine a stabilire confronti.
    Anche se provvisoriamente, possiamo riconoscere a due delle tre parole che stiamo per prendere in considerazione (educazione e istruzione) i significati con i quali sono state usate nella tradizione culturale italiana ed europea. In tale tradizione, i significati delle due parole sono collegati da un rapporto di inclusione, perché l’istruzione è parte dell’educazione. Più specificamente, l’istruzione è una manifestazione esplicita dell’educazione, che ha l’intento di trasferire repertori culturali. Il messaggio di istruzione procede da chi possiede gli elementi da trasferire a chi non li
possiede, senza particolari vincoli derivanti dall’età dei soggetti che partecipano al processo. Ciò è particolarmente evidente nel caso dell’istruzione che interessi un pubblico adulto: chi formula il messaggio di istruzione può essere più anziano di chi lo riceve (situazione questa improbabile se i destinatari, com’è nella scuola, sono bambini e ragazzi). Ovviamente, il significato di educazione è più ampio, investendo aspetti dell’adattamento alla vita che non comportano apprendimenti formalizzati. Spesso tali aspetti sono acquisiti in modi impliciti, per imitazione, e riguardano stili di comportamento, valori, pratiche dell’esistenza quotidiana. In Italia il contrasto politico tra laici e cattolici che aveva cominciato a manifestarsi nell’età del Risorgimento ha prodotto una contrapposizione artificiosa, che si è conservata fino a qualche decennio fa: i cattolici hanno preferito parlare di educazione, perché si poteva comprendere nel significato della parola il trasferimento di principi morali, mentre i laici hanno posto maggior enfasi sull’istruzione, perché hanno visto nel trasferimento di repertori culturali una condizione di progresso individuale e sociale.
    La fortuna della terza parola, formazione, è abbastanza recente. Negli anni sessanta, sull’onda della incipiente collaborazione tra cattolici (democristiani) e laici (socialisti) sembrò opportuno smussare le differenze tra i rispettivi orientamenti ideali anche dal punto di vista linguistico. La parola formazione era molto meno usata di quanto non sia avvenuto successivamente: indicava, com’è evidente considerandone l’etimologia, il prender forma (per esempio, nel processo di sviluppo) o il dar forma (in questo caso, si trattava di conferire a qualcuno caratteristiche che precedentemente non aveva: è il caso della formazione professionale, come ha posto opportunamente in evidenza Max Weber in Die protestantische Ethik und der Geiste des Kapitalismus). Nella cultura italiana era frequente l’uso di formazione con il significato di prender forma, mentre lo era molto di meno in quello di dar forma. La stessa formazione professionale era indicata con la parola addestramento, peraltro corrispondente all’inglese training: è interessante osservare che in questo caso i cultori della lingua imperiale abbiano preferito seguire una via diversa. Molti ritennero che l’eccesso d’ideologia che si riconosceva nell’uso di educazione e istruzione potesse essere eliminato ricorrendo ad una parola non compromessa nelle polemiche fra cattolici e laici, come formazione. È accaduto il contrario: non solo formazione ha mostrato di essere quello che era (una parola satura di connotazioni ideologiche), ma ha finito col costituire una sorta di cavallo di Troia per trasportare nel campo dell’educazione modelli, formule organizzative, pratiche funzionali ad altre logiche e coerenti con altri scopi.
  
   In particolare, l’enfasi sulla formazione si è accompagnata all’affermazione di una categoria di utilità che forse è appropriata per l’acquisizione di competenze professionali, ma che è difficile affermare lo sia per l’educazione. Basterà un esempio per chiarire il senso di questa affermazione: leggere la Commedia è utile in una prospettiva educativa, ma è del tutto inutile in una formativa, dal momento è del tutto improbabile che ciò che si ricava da tale lettura possa essere utilizzato per fornire prestazioni orientate ad ottenere un beneficio valutabile in termini economici; viceversa, imparare ad usare un computer può essere carico di utilità nel breve termine, ma non produce quell’adattamento stabile del profilo culturale di un soggetto che siamo abituati a collegare all’educazione. Del resto, nessuno parla di formazione poetica, mentre ascoltiamo cori assordanti di cantori della formazione tecnologica.
     Oggi i termini del contendere non sono più tra cattolici e laici (educazione versus istruzione), ma tra chi enfatizza per le nuove generazioni l’adattamento a breve termine (formazione) e chi è convinto che si debbano considerare le esigenze che si presenteranno in un lungo, e per di più crescente, periodo di tempo, quello che segue gli anni dell’educazione sequenziale e che comprende la partecipazione alle attività produttive e alla vita sociale, fino all’epilogo che interviene in un’età sempre più tarda (ricordiamo che in un secolo la speranza media di vita è cresciuta di una trentina d’anni).
      Si direbbe che oggi il fattore che distingue le
scelte di politica scolastica sia costituito dalla maggiore o minore attenzione al tempo come criterio per la definizione d’interventi in senso lato educativi (ma di volta in volta orientati soprattutto all’istruzione, se l’intento è l’affermazione della ragione e della creatività di bambini e ragazzi, o alla formazione, se invece si ritiene preferibile, come sembra che molti siano convinti, fornire i giovani di un corredo di competenze utilitarie valide nell’immediato). Non c’è dubbio che le scelte educative centrate sull’istruzione siano le più impegnative, e per certi versi le più impopolari, perché possono cozzare con opinioni radicate nel senso comune senza potersi giovare degli aloni suggestivi richiamati da molte delle proposte della formazione. Sono aloni che impressionano soprattutto gli strati meno favoriti della popolazione, ai quali si suggerisce di approfittare dell’utilità collegata all’acquisizione di capacità utilizzabili nell’immediato.     
      Si trascura di osservare che si tratta, in ogni caso,
di un’utilità transitoria, perché soggetta a ritmi incalzanti di sostituzione delle tecnologie e delle abilità necessarie per servirsene. E si trascura anche di osservare che a questa utilità sembrano del tutto insensibili gli strati favoriti della popolazione, che continuano a preferire per i loro figli un’impostazione degli studi nella quale la maggior attenzione sia rivolta ad apprendimenti che possano essere conservati nel corso della vita e possano costituire la base per processi di adattamento successivo: meglio saper argomentare e esprimere correttamente in forma scritta il proprio pensiero che saper riversare un testo in una memoria digitale tramite un programma di scrittura. Saper esprimere il proprio pensiero è un elemento che connota il profilo di un soggetto per tutto l’arco della vita; usare un programma di scrittura è utile finché non cambi la tecnologia prevalente per la conservazione dei test