giovedì 25 aprile 2013

LE RAGIONI ANTICHE E NUOVE PER UN A NUOVA EVANGELIZZAZIONE ANCHE NELLE SCUOLE

Una sintesi conclusiva sulle ragioni della 
nuova evangelizzazione nei luoghi educativi.
______________
    Lo studio di sister Paola, pubblicato in tre parti  nelle settimane scorse,ci rimanda di continuo alla necessità e all’urgenza di una nuova evangelizzazione nei luoghi di lavoro, in particolare nei luoghi in cui si “fa” educazione e istruzione, e  in ogni caso dovunque sia possibile (e lo è sempre e dappertutto) annunciare Cristo. Ma fino a qual punto gli operatori di evangelizzazione sono, siamo legittimati  dalla Chiesa in quest’opera vitale e indispensabile?
_______________________________

     L’espressione Rinnovata evangelizzazio­ne”, pur essendo stata anticipata già durante il pontificato di Paolo VI (cf. Evangelii Nuntiandi, 2, dove si parla di “nuovi tempi d’e­vangelizzazione”), è balzata alla ribalta della riflessione teologico-pastorale negli anni ’80, grazie specialmente a Giovanni Paolo II, che ne ha fatto un punto focale dei suo magistero, sin dal marzo 1983, quando, parlando ai vescovi del CELAM, invocò una evangelizza­zione “nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni”.  Da quel momento il papa ha parlato, a più riprese, di “seconda evangelizzazione” di “rinnovata opera di evangelizzazione”, di “nuova implantatio evangelica”, di “gigantesca opera di evangelizzazione del mondo moderno”, di “nuova evangelizzazione” e, in particolare, di “nuova età di evangelizzazione in Europa”, afferman­done l’urgenza e chiarendone il significato: “Urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana.  Ma la condizione è che si rifac­cia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali” (Christifideles laici, 34). 
     La nuova evangelizzazione consiste, dunque, nel restaurare, talvolta per­sino nel ricostruire, il “tessuto cristiano” della Chiesa e della società  – profondamente mutata rispetto al passato- in cui essa vive. La comunità ecclesiale, secondo il papa polacco, saprà rivolgere l’annuncio evangelico alla nuova società europea, in modo nuovo e significativo per gli uomini di oggi, nella misu­ra in cui riuscirà ad autorievangelizzarsi.  In questo senso la nuova evangelizzazione rappresenta innanzitutto una sorta di cartina al tornasole per verificare la radicalità evangelica della Chiesa.  Per Gio­vanni Paolo II la nuova evangelizzazione deve prima far rinascere le comunità ecclesiali, la cui vitalità si è sopi­ta e deve riportarle ad una fede matura, che si alimenti dell’incontro con Cristo e che si tra­sformi in un’esistenza autenticamente cristia­na, incentrata sulla carità evangelica e soste­nuta dallo Spirito dell’Amore.  Solo dopo aver rievangelizzato se stessa, la Chiesa potrà proiettare la luce del Vangelo sui segni dei tempi che richiedono d’essere interpretati e risolti, e sarà capace di permeare di senso cri­stico le molteplici realtà umane che anelano, oggi più di prima, di essere redente: la dignità della persona, il diritto inalienabile dei piccoli e dei deboli della terra alla vita, i fondamenta­li momenti vitali ed esistenziali dell’uomo (nascita, crescita, malattia, morte), la fami­glia, l’ansia e le speranze dei giovani, il lavo­ro e l’economia, l’impegno politico, le nuove povertà del mondo contemporaneo, il biso­gno di pace, la cultura e le culture, il crollo dei sistemi ideologici, la società intera e la sua vita (cf.  ChL, cap. III). 
       Importante quanto complesso appare, tra questi segni dei tempi, la secolarizzazione che, talvolta, in molte zone d’Europa, si caratterizza non solo come dimi­nuzione quantitativa del numero dei cristiani praticanti, ma anche e soprattutto come uno scadimento qualitativo dello stile di vita dei cristiani. Una tale secolarizzazione “qualitati­va “convive spesso, in clima di grave smarri­mento e confusione, con una religione “dello scenario”, o “dei comuni valori”, di cui parla­no oggi alcuni sociologi: una religione funzio­nale ai bisogni dell’uomo contemporaneo, ma che non possiede più il senso della trascen­denza-vicinanza di Dio, dell’adorazione e della lode, della docile e serena dipendenza dalla volontà del Signore.  Insomma, una religione del gusto, che accetta ciò che conviene e piace, ma rifiuta tutto il resto.  In tale orizzon­te è palese la crisi dei tradizionali canali di tra­smissione della fede, ancora attivi sino a qual­che decennio fa — almeno in alcune zone d’Europa — in seno alla società civile come nelle comunità ecclesiali: la famiglia, gli ambiti di lavoro, la cultura comune, le istitu­zioni sociali e quelle ecclesiali, la parrocchia intesa come vera “fontana del villaggio”.  Realtà queste un tempo ricche di riferimenti religiosi e sostenute dal credo cristiano, fedel­mente custodito e trasmesso da generazione a generazione, in forma di autentica iniziazio­ne alla vita di fede, ma che oggi, per fattori sia esterni sia interni alle comunità ecclesiali, hanno perduto la loro efficacia di fronte alle nuove situazioni in cui il Vangelo deve risuo­nare.  In tal senso l’esperienza cristiana persi­ste sì nella società secolarizzata, ma dimenti­cando la sua identità, la sua autentica valen­za redentrice, i suoi contenuti evangelici. 
  Avviene così che la fede nel Dio di Gesù Cri­sto è ridotta ad una serie di valori umani e a un conato di integrità etica, e a niente di più. Come si vede, si tratta di situazioni nuove, che dipingono il volto di un’Europa che sem­bra cambiata — o, come si dice, postcristiana — e che evidenziano un inedito iato tra comu­nità ecclesiale e società.  Situazioni nuove che la Buona Novella deve rivisitare: ecco perché si parla di nuova evangelizzazione! Infatti, la seconda evangelizza­zione — o la terza o la quarta che dir si voglia è tale non solo perché si pone in continua­zione con la prima evangelizzazione attuata duemila anni fa; o perché attinge ad un nuovo Vangelo o fa conoscere altre verità su Cristo.  Il Vangelo non si piega a nessun tipo di tra­sformismo; è sempre l’unico Vangelo di Cristo e costituisce ancora la novità della salvezza per gli uomini di tutti i tempi.  Il Vangelo è la Novità per antonomasia e si sottrae prodigio­samente all’usura protervia dei tempo che, solitamente, opacizza ciò che è nuovo ren­dendolo vecchio.  L’evangelizzazione è nuova appunto quando riesce ad esprimere la novità perenne del Vangelo, pure in un contesto di realtà inedite e davanti a interlocutori nuovi.  Essa è la Lieta Notizia di sempre: “Dio ti ama, Cristo  venuto per te!” (Sinodo Europeo, Dichiarazione, 3).  Né possono essere altri, rispetto al passato, gli interpreti della n.e., Scelti per collaborare il Cristo: gli annunciato­ri del Risorto sono sempre i suoi discepoli, che, con impegno convinto e rinvigorito, si rinnovano come comunità e si pongono davanti al mondo quali testimoni della Vita nuova, della Vita dello Spirito e nello Spirito.  Questi attori, guidati dalla sapiente regia dello Spirito della Verità, non sono solo i fedeli laici, forti della loro “indole secolare” (cf.  Lumen gentium, 31), né sono solo i presbiteri, cui pure si riconosce il ruolo di “primi nuovi evan­gelizzatori” (cf.  Pastores dabo vobis, 2).  Inter­preti della nuova evangelizzazione nell’Europa contemporanea sono piuttosto tutti coloro che, rigenerati dallo Spirito dei Crocifisso-Risorto, formano la Chiesa: è la comunità ecclesiale — comunio­ne di persone diverse, ma vincolate recipro­camente e ordinatamente nell’unità dello Spi­rito santo — il vero soggetto della nuova evangelizzazione è la Chiesa tutta che realizza la rievangelizzazione, “ad intra” e “ad extra”.  La sua stessa storia può ben leggersi come storia di una perma­nente evangelizzazione: storia del Vangelo che s’incarna, storia di evangelizzatori che annun­ciano la Novità salvifica.

venerdì 19 aprile 2013

DIFFONDERE LA FEDE NEI LUOGHI EDUCATIVI: ALCUNE CONDIZIONI CONCRETE FAVOREVOLI

    Concludiamo con questa terza puntata la pubblicazione dello studio condotto da Sr. Paola Arosio ( sisterpaola@hotmail.com ),  suora della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret,  sulla necessità e sulle modalità possibili di diffusione della fede nei luoghi educativi, ringraziando l'Autrice per la puntualità e la chiarezza delle intuizioni.

_____________

1.    Un gruppo “portatore”: si tratta di un tessuto relazionale nel quale  gli studenti possono essere riconosciuti, dove possono occupare un posto attivo e sperimentare in presa diretta come la vita umana possa essere letta, interpretata, vissuta e trasfigurata alla luce del Vangelo in una relazione di prossimità. L’ambiente portatore può essere la comunità educante di una scuola cattolica, il collegio docenti, un gruppo di animazione pastorale all’interno della scuola…La prima condizione da soddisfare è, quindi, la qualità del tessuto relazionale che si instaura all’interno dell’ambiente educativo.

2.    Un ambiente “portatore”: significativi risultano essere anche la distribuzione dei locali, il loro  la loro capacità o meno di raccontarci l'essere, la vita, il mondo. Occorre saper ascoltare il linguaggio dei locali a disposizione di studenti, insegnanti, famiglie, poiché deve essere sintonizzato con le nostre finalità educative e con i loro bisogni: i nostri locali  sono vivi, accompagnano il ritmo della vita? Parlano il linguaggio dell’accoglienza, della disponibilità, del silenzio, del raccoglimento, dello studio, dello sport, della bellezza? Offrono opportunità per riflettere, contengono provocazioni anche di tipo evangelico? Comunicano senso di appartenenza?

3.    Attività “portatrici”: possono essere di vario tipo. In genere, si classificano attorno alle quattro dimensioni fondamentali della comunità cristiana: attività della Parola: insegnamento, informazione, ricerca, riflessione, dibattito…; attività celebrativa: liturgia, riti, espressioni simboliche…; attività di incontri fraterni: feste, uscite, divertimenti, convivenze…; attività di servizio: iniziative di solidarietà, partecipazioni a campagne di sensibilizzazione, esperienze di volontariato…. L’importante è che le attività, programmate su loro iniziativa o proposte ai giovani e alle loro famiglie, siano desiderabili, sveglino la vita, facciano riflettere, offrano dei percorsi alla libera appropriazione del senso evangelico. Occorrerà particolarmente vigilare affinché tutte queste attività lascino spazio a momenti di riflessione su ciò che è stato vissuto: data la complessità delle esperienze che coinvolgono oggi le giovani generazioni, a causa dei cambiamenti sociali e culturali in atto, è indispensabile oggi poter offrire luoghi e situazioni adatte ad un esercizio di riflessione sulla propria vita, sulla propria esperienza, fondamentale sia sul piano della costruzione della soggettività e delle convinzioni personali, sia sul piano del risveglio e della maturazione della fede cristiana.

    In questa nostra conversazione abbiamo cercato di rispondere non solo alla domanda “perché la scuola cattolica ha il diritto di proporre la fede e i giovani hanno il diritto di ascoltarla?”, ma anche abbiamo cercato di delineare qualche tratto del “come proporre la fede oggi agli studenti e alle loro famiglie”. Abbiamo visto, infatti, che essere cristiani, riconoscere esplicitamente la grazia donata in Gesù Cristo, è una grazia supplementare, ma non è condizione indispensabile per godere della salvezza gratuita donata in Gesù Cristo.


È in questa logica di grazia supplementare, non necessaria ma estremamente rivelatrice dell’amore di Dio, che la proposta della fede cristiana può essere ascoltata in un ambito multi-religioso e pieno di convinzioni multiple come quello odierno. Questa prospettiva consente di riconoscere che Dio genera e salva in ogni luogo in cui, come abbiamo visto, prospera la carità. Pertanto, in questo modo, la fede cristiana appare radicalmente relativizzata. Relativizzare così la fede cristiana, significa non cadere nel relativismo in cui tutto si equivale, ma piuttosto collocarla nel posto giusto – che non vuol dire l’intero spazio – dove può essere ascoltata, con una pertinenza ed un gusto rinnovati, proprio in quanto rivelazione in Gesù Cristo della grazia di Dio che, per natura, è eccessiva. Così collocata, priva di qualsivoglia volontà di potenza o idea di totalità, la fede cristiana non pesa, non costringe, non si impone ma si propone in uno spazio di libera e reciproca ospitalità che Dio stesso ha aperto: “Ecco, io sto alla (Ap.3,20). La Buona Novella invita a riconoscere, con piena intelligenza e libertà, per nostra immensa gioia, un Dio che ama incondizionatamente, che genera e che salva.
porta e busso. Se uno, udendo la mia voce, mi aprirà la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me”


Riferimenti bibliografici essenziali:
Armando Matteo, Nel nome del Dio sconosciuto, Ed. Messaggero Padova, 2011
André Fossion, Il Dio desiderabile, proposta della fede e iniziazione cristiana, EDB, 2011
Roberto Mancini, L’umanità promessa. Vivere il cristianesimo nell’età della globalizzazione, Qiqajon, 2010
Enzo Biemmi, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, 2011

Educare insieme nella scuola cattolica, missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici, Documento della Congregazione per l’educazione cattolica (dei Seminari e degli Istituti di Studi)

Educare: un’espressione dell’amore, Linee educative secondo il carisma dell'Istituto delle Suore della Carità di santa Giovanna Antida Thouret

sabato 13 aprile 2013

EVANGELIZZARE: L' ORGANIZZAZIONE NEGLI AMBIENTI EDUCATIVI

     Pubblichiamo la seconda parte dell' interessante  studio di Sr Paola Arosio, SdC  (sisterpaola@hotmail.com) sulle modalità di evangelizzazione all'interno dei "luoghi" educativi.

_____________

La spiritualità pastorale di tipo diaconale ha bisogno di mettere in campo le condizioni migliori, affinché siano resi possibili il riconoscimento del messaggio evangelico e la scrittura inventiva della propria vita nella fede. A questo fine sono necessari spazi che offrano tempi di incontro, apprendimento, sperimentazione, riflessione, dibattito, dove si articolano sia un lavoro di umanizzazione in spirito evangelico, sia l’annuncio esplicito del Vangelo stesso.

I responsabili di questi spazi avranno il compito di animarli, imparando essi stessi dagli altri e dalle esperienze vissute. Quanto alla loro funzione di autorità, in un’ottica di spiritualità diaconale, essa sarà essenzialmente dialogante e consisterà nell’autorizzare, cioè nel far crescere, nel rendere gli altri, letteralmente, autori e attori della propria esistenza. Questi spazi saranno luoghi di creatività personale e collettiva: luoghi di impegno dove si formano le personalità, le convinzioni, le solidarietà e i progetti di vita. E insieme saranno luoghi fondanti, dove si rinnovano le mansioni e i ruoli istituzionali esistenti, mentre si creano nuove tradizioni e nuovi usi.

·       Uno spazio privilegiato è quello della “memoria della fede cristiana”, in occasione di feste liturgiche, con simboli e opere d’arte disseminate nell’edificio scolastico, uscite culturali sui luoghi della fede…Per quanto riguarda la dimensione liturgica,  è necessario che rimanga aperta, per quanto possibile, a tutti e che si proponga in modo variato, creativo. Si propongano quindi, e si realizzino nell’anno, diversi tipi di celebrazione, coltivando l’arte di celebrare la fede, dando spazio a celebrazioni cristiane che siano comprensibili da tutti, alle quali tutti siano invitati a partecipare nella diversità del loro itinerario personale.

·       Un secondo spazio è quello del dibattito, della ricerca pensosa intorno alla fede cristiana: occorre, in particolare, che i giovani abbiamo l’occasione di esercitarsi in modo critico circa le loro rappresentazioni di Dio, le loro immagini della Chiesa, dei sacramenti, dei comandamenti, dei ministri…, al fine di superare le immagini mutilate o addirittura alienanti che sbarrano l’accesso alla fede nel Dio di Gesù Cristo. Questo lavoro della ragione nel campo della fede è, oggi, evidentemente fondamentale per lottare contro gli autoritarismi, gli integralismi, i fanatismi di ogni specie, ivi compresi quelli all’interno del cristianesimo stesso.
·       Un altro spazio consiste nell’invitare a riconoscere Dio nell’esercizio della fraternità: la scuola ha il compito di far sperimentare concretamente legami di fraternità e di solidarietà intergenerazionale, interculturale, interetnica, interreligiosa…che hanno la loro consistenza sul piano umano, ma che rendono desiderabile il messaggio evangelico, che nel perdono, nella contentezza di vivere, nell’accoglienza ospitale, nella profonda libertà manifestati da Gesù ne riconoscere la pienezza e la condizione di possibilità.

·       La celebrazione della vita e l’impegno in nome del Vangelo costituiscono un ulteriore campo della pastorale scolastica: si tratta di proporre e organizzare attività di solidarietà che hanno un loro significato umano in se stesse, ma che possono essere vissute esplicitamente in nome del Vangelo. Sappiamo per esperienza che la nostra carità si stanca, si svilisce, è soggetta a pervertirsi in altro, si perde, si corrompe, nonostante tutti i nostri sforzi e il nostro impegno. Il secondo comandamento “Ama il tuo prossimo” è dunque letteralmente ineseguibile, se non si è data esecuzione al primo: “Ama Dio”, cioè riconosci Dio quale presenza benedetta e benedicente sulla tua vita, corrispondi al Suo amore. Da qui devi partire, perché vi è un ordine dell’amore, un ordine della carità, che va dal cuore ricolmo dell’amore di Dio verso mani e piedi capaci di prossimità ospitale e gratuita. È solo la priorità dell’amore di Dio che scoglie d’un tratto il groviglio di reti che ci gettiamo l’un l’altro e che molto spesso finiscono per intrappolarci e soffocarci.  Nel segno dell’amore di Dio possiamo effettivamente creare spazi di un incontro gratuito e liberante tra noi.

·       Un ultimo aspetto della pastorale scolastica consiste nel vigilare affinché l’istituzione sia come un intermediario, un trampolino che apre i giovani al mondo ecclesiale nella sua diversità e nella sua ricchezza: comunità parrocchiali locali, diversità di reti, movimenti, associazioni e servizi esistenti sul territorio e anch’essi ispirati al messaggio evangelico. La scuola svolge così un ruolo di interfaccia tra la scuola e la comunità cristiana.

E, infine, quale pedagogia?
In ambito educativo, la prima fase di una pedagogia culturalmente radicata, evangelicamente orientata e spiritualmente incarnata, chiede tre fasi, non cronologicamente distribuite, ma logicamente articolate fra di loro:

·       mettere in pratica il Vangelo:  si tratta, cioè di individuare, sostenere, promuovere, in ambito
educativo, gli atteggiamenti, le attività, i progetti, i modi di funzionamento istituzionale che si possano rivestire di senso morale e che possono “rappresentare” la messa in pratica del Vangelo. Ciò suppone la capacità di discernere nell’umano i volti del Vangelo. L’azione pastorale consiste, in un primo momento, nel rilevare e disseminare nell’ambiente educativo, a diversi livelli, un insieme di valori e di pratiche che possano “rappresentare, dimostrare, raccontare” il Vangelo: preoccuparsi del compagno più debole, dello straniero, del nuovo arrivato, favorire l’aiuto reciproco, tenere desto il senso del bene comune, sensibilizzare alle esigenze di legalità, giustizia, solidarietà, ospitalità, perdono reciproco…personalmente, nel funzionamento istituzionale, nell’esercizio dei ruoli e nelle relazioni inter-personali.

·       far risuonare il Vangelo: vuol dire che le diverse “messe in pratica del Vangelo” (accoglienza, condivisione, amore per la verità, gusto per le cose fatte bene…) non devono rimanere isolate, ma entrare in risonanza le une con le altre nei diversi aspetti dell’ambiente educativo: regolamenti disciplinari che risvegliano la coscienza, partecipazione a campagne di solidarietà, decorazione degli ambienti, stile delle relazioni fra gli adulti e fra gli adulti e i giovani, le famiglie…cura delle relazioni con la parrocchia, il territorio, la diocesi, le altre realtà educative…Ogni singolo aspetto istituzionale o relazionale, quando “funziona” aiuta o non aiuta a far risuonare il Vangelo, produce cioè un clima distorto, oppure evangelicamente parlante e appellante.

·       riconoscere e annunciare il Vangelo: è il momento in cui ciò che viene vissuto come buono e umanizzante viene esplicitamente enunciato, riconosciuto, fatto proprio e vissuto in modo esplicito in riferimento al Vangelo. Questo passaggio è sempre libero e avviene quando educatori, insegnanti, animatori, dirigenti, collaboratori, volontari…mettono esplicitamente in contatto i giovani e le famiglie con il messaggio evangelico. La pastorale consiste allora nello stabilire le migliori condizioni affinché sia possibile alle persone, nella loro libertà, discernere il senso evangelo, aderirvi e celebrarlo. Per questo la pastorale deve affrontare una duplice sfida: da una parte la scuola cattolica contribuisce a sviluppare i valori di umanità, da un’altra parte rende possibile la scoperta del Vangelo che attribuisce a quei valori ancora  un senso ulteriore, trasfigurante.
Lo sguardo di fede che “riconosce e annuncia il Vangelo” coglie nella genesi dell’umanità le primizie della resurrezione stessa: se il Vangelo irriga tutta la vita dell’ambiente, il passaggio allo sguardo di fede non è solo un riferimento. Esso dona tutto il suo senso alla convinzione decisiva che noi non abbiamo il diritto di disperare di un docente, di un genitore, di uno studente. Questa convinzione è nell’ordine della fede: la fede nella risurrezione inaspettata di Cristo che ci trasporta tutti in un altro futuro. Allora, quando non ce lo aspettavamo più, un giovane decolla di nuovo grazie ad una mano tesa e in quel momento avviene qualcosa della resurrezione; quando una ragazza manifesta all’improvviso i suoi talenti intellettuali, artistici o sportivi, mentre li aveva ben nascosti, si intravvede qualcosa della resurrezione; quando un’istituzione (una scuola, un collegio, una società sportiva, un oratorio…) appesantita dalla ripetitività e nell’unica preoccupazione del suo funzionamento, inizia ad agire con audacia pedagogica e pastorale, avviene qualcosa della resurrezione. Si sta attuando, in altre parole, una nuova diaconia della carità.

mercoledì 3 aprile 2013

L’ANNO della FEDE negli ambienti educativi delle Suore della Carità:UNA FEDE POSSIBILE, COMPRENSIBILE, DESIDERABILE ( Parte I)

    Pubblichiamo la prima delle tre parti di cui consta lo studio di Sr Paola Arosio, SdC, sulle possibili modalità di incentivazione della Fede all'interno dei "luoghi" educativi, intesi anche come possibili "laboratori di fede".
____________
Per una fede possibile, comprensibile, desiderabile negli ambienti educativi:
                Quale spiritualità pastorale?
                Quale organizzazione?
                Quale pedagogia?

ALCUNE CONDIZIONI CONCRETE FAVOREVOLI 

Congregazione per l’educazione nella scuola cattolica n. 9


          La scuola cattolica si configura come scuola per la persona e delle persone. «La persona di ciascuno, nei suoi bisogni materiali e spirituali, è al centro del magistero di Gesù: per questo la promozione della persona umana è il fidella scuola cattolica»

 Perciò la scuola cattolica, impegnandosi a promuovere l'uomo nella sua integralità, lo fa, obbedendo alla sollecitudine della Chiesa, nella consapevolezza che tutti i valori umani trovano la loro realizzazione piena e quindi la loro unità nel Cristo. Questa consapevolezza esprime la centralità della persona nel progetto educativo della scuola cattolica, ne rafforza l'impegno educativo e la rende idonea ad educare personalità forti.
 

    Lo sappiamo per noi stessi, per ciascuno di noi, e con questa umile consapevolezza ci mettiamo a servizio della formazione intellettuale, morale e fisica dei ragazzi: l’umanità è costantemente in evoluzione, l’umanità è sempre in attesa e in via di compimento. Del resto, anche i nostri modi di dire ce lo rivelano: “Quanto è umano quel medico!”, “quel sacerdote è molto umano”, “quell’insegnante, quell’infermiere, quell’imprenditore… è pieno di umanità”. L’aggettivo umano, dunque, non indica solo una specificazione biologica. Ci restituisce la coscienza che l’essere umano degli uomini e delle donne non è affatto realtà scontata. È conquista. È fatica.


     Da questo punto di vista, la scuola cattolica è, prima di tutto e soprattutto, un servizio di umanizzazione a vantaggio delle persone e dell’intera comunità civile. Divenire umano, uscire dalla violenza, edificare la convivialità sociale, amare e abitare il mondo nella passione per la giustizia, per la ricerca del bene comune, per l’ospitalità del creato, è un compito né dato, né tracciato in anticipo. Richiede tempo e lavoro. E l’istituzione scolastica, al riguardo, è un luogo privilegiato dove, secondo un’espressione tradizionale “si costruisce la propria umanità”. Si tratta, semplicemente e prioritariamente, di contribuire alla sviluppo in pienezza dell’umanità di ciascuno. La scuola cattolica, mettendo a disposizione dell’umanità la propria tradizione spirituale, pedagogica, formativa, contribuisce al compito di umanizzazione.



    Ma vi contribuisce ispirandosi all’antropologia cristiana”, cioè dal punto di vista specifico del Vangelo. Quindi, se per la scuola cattolica l’umanizzazione è già un fine in sé, esso non è l’unico. Perché sulla strada dell’umanizzazione, la scuola cattolica intende aprire uno spazio propositivo di accompagnamento e di maturazione della fede cristiana. Non perché questa sia necessaria alla vita dell’uomo. Basta guardarsi intorno: moltissime vite umane si sviluppano e si mettono al servizio degli altri senza essere sostenute da una fede in Dio. La “questione di Dio” oggi non trova più un punto di ancoraggio nell’esistenza, in Occidente, nella maggior parte delle persone, senza peraltro che si assista ad un crollo di senso e di valori[1]. Infatti, non c’è vita senza “fede”, ma nel senso di  “senza fiducia in sé stessi, nell’altro, nella vita”. Noi tutti siamo attaccati alla vita, ci crediamo, lottiamo per la sua conservazione e per il suo miglioramento e desideriamo viverla nel modo migliore possibile. Questo tipo di fede è necessaria alla vita, ma essa non indica specificamente la confessione della fede cristiana.


      La convinzione della scuola cattolica, al riguardo, consiste nel fatto che riconoscere Dio, se non è necessario per vivere, può tuttavia essere vivificante per l’uomo e per la donna, per farlo crescere  ancora di più nella sua umanità. E non si tratta solo di avviare i giovani al fatto religioso. Lo fanno anche le istituzioni statali, in quanto fa parte dell’opera di umanizzazione di cui sopra. Ma, pienamente impegnata nel campo dell’umanizzazione, oltre all’apertura al fatto religioso, la scuola cattolica intende annunciare e proporre esplicitamente la fede cristiana alla quale si riferisce. Non in quanto questa proposta sia secondaria o aggiuntiva, ma iscrivendosi in uno spazio di gratuità e di libertà: seguendo la scia del lavoro di umanizzazione degli studenti, la scuola cattolica intende offrire le condizioni che rendano la fede liberamente possibile, comprensibile, desiderabile.



Per una fede possibile, comprensibile e desiderabile nel mondo scolastico



Gli ambienti educativi in genere (scuole, oratori, collegi, società sportive o musicali, movimenti e associazioni giovanili…) sono un microcosmo della società. Riguardo alla proposta della fede cristiana si presentano come un terreno privilegiato dove si possono sperimentare le difficoltà, ma anche le opportunità della fede cristiana per il mondo futuro. Gli ambienti educativi sono luoghi per eccellenza per far crescere in umanità nello spirito del Vangelo. Almeno per una parte, il mondo di domani e, con esso, il cristianesimo futuro sono in gestazione negli ambienti educativi di oggi.

Certamente vi sono delle condizioni concrete che favoriscono il risveglio e la maturazione delle fede cristiana nelle nuove generazioni all’interno degli ambienti educativi. Ma prima di individuarle, occorre che comprendiamo bene da quale tipo di realtà sociale sono avanzate, quale spiritualità pastorale esigono e quindi in quale tipo di organizzazione meglio si esprimono.



Nell’attuale ambiente culturale:


Sul piano sociale e culturale, ciò che viene consegnato ai giovani, è un mondo secolarizzato, pluralista, multi-religioso, cioè un mondo cui le proposte di senso sono diverse e dove ciascuno deve tracciare il proprio cammino, trovare le sue risorse e formare le sue convinzioni.


La crisi della trasmissione religiosa appare, da questo punto di vista, non come la fine della religione, ma come un’interruzione della sua trasmissione automatica, per il fatto che questa è ormai dipendente dalla riflessione, dall’interpretazione, dalla libertà, dalla decisione come anche dall’indecisione di ciascuno. Per i giovani di oggi la fede è soprattutto, per forza di cose, interrogativi, questioni aperte e punti di sospensione…E questi dubbi, domande, incertezze, esplorazioni, sono per loro, e per noi, un punto di partenza, non un punto finale. Il futuro, a riguardo, può sempre riservare delle sorprese. Il contesto culturale attuale, globalizzato, inter-etnico, e multireligioso va guardato senza ingenuità, ma con fiducia. Mette sicuramente alla prova la fede, ma nello stesso tempo le apre una stagione assolutamente inedita: la fine del cristianesimo sociologico può essere l’inizio del cristianesimo della grazia e della libertà. Chi può misurare le sorprese che lo Spirito prepara alla sua Chiesa?


Giovanna Antida, fatte le debite differenze, si è addirittura trovata immersa in un mondo culturale e sociale nel quale era stata bruscamente e violentemente interrotta la catena della tradizione della fede. Eppure, senza nostalgie o rimpianti per un mondo unanimemente cristiano come era stato quello delle campagne francesi dell’Ancien Régime,  ha coinvolto molte altre giovani donne della sua diocesi, e non solo, nell’impresa pastorale di “insegnare ai poveri, ai malati e anche ai bambini a conoscere, amare e servire Dio", per riportare a Dio un’umanità che ne era stata violentemente allontanata dalla sistematica azione scristianizzatrice attuata durante le fasi più acute della Rivoluzione Francese.



Siamo eredi di una lunga tradizione vivente che vogliamo rendere attuale…(RdV 1.4.1):
Servire i poveri
(i bambini, i ragazzi, i giovani,
gli studenti, le loro famiglie,
gli insegnanti, i collaboratori, le suore…)
membra preziose di Gesù Cristo,
aiutandoli a risalire
dai loro bisogni primari
a quelli ultimi, più profondi e più veri,
fino alla loro dignità di figli di Dio,
accompagnare le persone
nelle loro ricerche,
aiutandole a conoscere ed amare il Signore
(Intenzione fondazionale di J.A. Thouret)

Quale spiritualità pastorale negli ambienti educativi?



Il servizio e l’evangelizzazione dei poveri

sono per noi, come per Gesù,
le espressioni privilegiate dell’amore,
 caratterizzano la missione che la Chiesa “serva e povera” ci affida.

RdV 5.1.3.


Nelle attuali, difficili situazioni, ciò di cui hanno bisogno i cristiani impegnati in nome delle loro fede in particolare negli ambienti educativi, è una spiritualità pastorale che permetta loro di attuare, con realismo, intelligenza e felicità, il loro desiderio di vivere e di trasmettere il tesoro del Vangelo. Questo tipo di spiritualità pastorale è fondamentalmente diaconale: è mettersi al servizio dello sviluppo della piena umanità di ciascuno, nella propria identità e singolarità per la grazia di Dio. Questa spiritualità pastorale lotta contro le forze del male e promuove, rispettando l’altro e preoccupandosi del bene comune, l’emergere di ognuno a se stesso. Negli ambienti educativi siamo, dunque, in attitudine diaconale, affinché il nostro servizio susciti vita in tutte le sue dimensioni: fisica, psichica, intellettiva, affettiva, culturale, spirituale.


Ma non ci accontentiamo di riconoscere la grazia di Dio in questa vita buona che emerge, si afferma, si dilata…manifestando il mistero pasquale, il passaggio della vita attraverso la grazia di Cristo. Vogliamo darne anche testimonianza esplicita, affinché il mistero pasquale venga conosciuto e riconosciuto: “Liberamente accogliamo – RdV 2.1.1. – il mistero pasquale di Gesù Cristo con tutte le sue esigenze di conversione e di vita nuova”. Così si collegano strettamente umanizzazione ed evangelizzazione. Perché se Dio ama, se Dio genera alla vita umana e salva, riconoscere quest’opera di Dio, celebrarla, rallegrarsene, nutrirsene, significa partecipare alla generazione stessa.


·       In questa spiritualità pastorale di tipo diaconale, non ci si stupisce che la fede cristiana sia difficile, che incontri resistenze; non ci si scandalizza, non ci si adombra, non ci si rattrista che l’incredulità, l’insofferenza, il dubbio, la critica, la presa di distanza…siano per la maggior parte dei nostri ragazzi e dei loro genitori delle situazioni “normali”.


·       Una spiritualità pastorale di tipo diaconale non vede il mondo attuale come un mondo che si scristianizza e al quale bisognerebbe opporsi, ma come un mondo diventato plurale e secolare, le cui sfide sociali, culturali, politiche e le aspirazioni spirituali forniscono nuove opportunità al Vangelo.


·       Una spiritualità pastorale di tipo diaconale non si identifica con un passato che ora è fortemente minacciato e di cui bisognerebbe difendere l’esistenza; al contrario, si considera una forza propositiva e fondante per costruire il mondo di domani. I cristiani, in questa situazione, non hanno nulla da perdere, ma tutto da guadagnare: si sforzano semplicemente di essere, nella società e per essa, una forza fondante di umanizzazione in nome del Vangelo che essi proclamano e propongono a chi vuole ascoltarlo.[2]



Si tratta, in una battuta, di acconsentire a servire la vita così come essa è, e non come vorremmo che fosse: è vegliare al bene, è volere il bene, lottando contro tutte le forze del male, ridando nuova vita, attualizzando, rigenerando, per l’oggi, quello che fu all’origine della vocazione di Giovanna Antida e della sua famiglia

spirituale:






Servire il Regno di Dio,
lavorando per la liberazione dal male
in tutte le sue forme,
è cooperare alla salvezza di tutti gli uomini e di tutto l’umano.
(Intenzione fondazionale di J.A. Thouret)


[1] Ci riferiamo qui a Paesi come la Germania orientale, la Svezia, la Repubblica Ceca, l’Olanda, un’area europea dove la maggioranza della popolazione è semplicemente e serenamente a-religioso. E bisogna guardarsi bene dall’insinuare che l’homo areligiosus della Germania orientale sia per questo meno attento ai valori umani dell’homo religiosus della Baviera o della Polonia. Sotto questo aspetto, la situazione in Germania orientale è uguale e per certi versi migliore, di quella della Germania occidentale, ancora fortemente strutturata dal cristianesimo.
[2] Nella società, possiamo distinguere dei poli « istituiti », frutto della storia, e dei « poli fondanti », che ne modificano il corso. Quando i cristiani si identificano con i poli istituiti della società, allora percepiscono i poli fondanti come una minaccia, si sentono braccati, entrano in un processo di autodifesa e di resistenza contro ciò che rischia di travolgerli. Se, al contrario, i cristiani non si identificano con i poli istituti, essi li riconoscono come se esistessero senza di loro, ma anche come uno spazio nel quale possono impegnarsi per modificare le cose e indirizzarle in senso evangelico. In questo caso, i cristiani non si sentono più assediati, ma si impegnano nelle situazioni così come esse si presentano, consapevoli di potervi giocare il proprio ruolo di cambiamento, di “polo fondante”. In questo caso, i cristiani si sforzano di essere, nella società e per essa, una forza di umanizzazione in nome del Vangelo, che essi proclamano e propongono a chi vuole ascoltarlo.