giovedì 30 maggio 2013

LA SFIDA PIU' DIFFICILE: EDUCARE NELLA CRISI


I nostri ragazzi oggi incontrano spesso educatori o fondamentalisti o nichilisti. Il che  ripropone la questione di uno sguardo adulto sulla vita. Facciamo nostra un'interessante riflessione - denuncia di Marco Guzzi.
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      La Chiesa in Italia, e quindi tutti i battezzati, è impegnata in questi anni in quella che la Conferenza episcopale ha definito la "sfida educativa". Lo scenario della crisi che stiamo attraversando amplifica l'importanza dei processi educativi e la necessità di educatori che leggano i segni dei tempi: proprio perché si tratta di una crisi che è tuttaltro che economico e politica solamente. È in crisi, anzi, probabilmente al tramonto e in piena trasformazione, tutto un sistema culturale e quindi anche i modelli educativi a cui siamo abitua
Marco Guzzi, poeta, filosofo e formatore, che da 14 anni sta sperimentando una nuova modalità di iniziazione o re-iniziazione cristiana nei suoi gruppi "Darsi pace", affronta questo argomento nel suo libro La Nuova Umanitàdove ha sintetizzato la sua visione antropologica e culturale di questa epoca e i suo possibili sviluppi, soprattutto per i cristiani. Ne pubblichiamo uno stralcio.   
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    Quando i contenuti storici di tutte le nostre identificazioni incominciano a sfaldarsi e a
riformularsi, come metalli fusi, liquefatti, quando cioè si vive appunto un trapasso storico-culturale come il nostro, dobbiamo affrontare ad ogni passo due pericoli opposti e complementari che (...) vorremmo osservare dal punto di vista dei loro effetti pedagogici: il riflusso fondamentalistico e la deriva nichilistica.
     A livello educativo possiamo facilmente cadere in soluzioni fondamentalistiche, quando le sfide del cambiamento ci pongono in uno stato di paura e di chiusura in noi stessi. 

       
L'educatore fondamentalistico ripropone così schemi educativi appartenenti al passato, e quindi in buona parte morti e mortiferi, solo perché gli sembrano i più "sicuri". 
Egli sostanzialmente dice alle persone che gli sono affidate, anche se non sempre verbalmente, ma comunicandolo comunque con tutto il proprio essere:
 voi dovete essere come sono io, e io sono come si deve essere,come sempre si è stati, e quindi è bene continuare ad essere; senza dare mai però alcuna ragione fondata e vitale di questa fedeltà astratta e irrigidita. In quanto prodotto in realtà da una maschera (difensiva) di perfezione conformistica, l'atteggiamento educativo di tipo fondamentalistico è sempre violento, nasconde cioè ma comunica con forza una paura di fondo, un'angoscia del mutamento che non può che trasmettersi rovinosamente all'educando o alla figlia malcapitata.
      
La soluzione nichilistica, d'altra parte, è una forma diversa in cui però ci si illude ugualmente di liberarsi dalla responsabilità del mutamento.
Ma mentre il fondamentalista delega a qualche tradizione esterna la guida della propria vita da non mutare, devitalizzandola così e paralizzandola nel terrore; il nichilista invece si affida, sempre per non mutare veramente, alla deriva tecnico-informatica, si fa piccolo piccolo, rinuncia alle proprie capacità di scelta e di decisione, insegnando a tutte le persone che lo circondano che questa spersonalizzazione sarebbe di per sé liberante, l'unica via anzi rimasta all'umanità "postmoderna".
L'educazione nichilistica presume di conseguenza che l'informazione scientifico-tecnico-telematica possa sostituire la trasmissione globale, fisica e spirituale, della cultura; insegue paradisi scolastici in cui un computer per banco risolverà ogni problema, e produce così quella generazione di baby busters (sgonfiati) e di nullaventenni, informatissimi quanto disperati, che già popola gli Stati Uniti, che come sempre sono più avanti in questa direzione almeno di un decennio. 
L'educatore nichilista sostanzialmente insegna a se stesso e ai suoi sfortunati allievi: certo tu devi cambiare, ma
 il cambiamento è dato essenzialmente dal moto spontaneo delle tecnologie (e quindi in definitiva dal mercato), sono loro che trasformano realmente la tua vita, tu non devi fare altro che adeguarti a questo processo, che poi ti aiuta ad essere proprio come ti pare...
      Purtroppo i ragazzi incontrano molto spesso queste due figurazioni di adulti, che
comunque abitano anche in ciascuno di noi.
In una fortunata serie televisiva americana, che si chiama Dawson's creak, si rappresentavano molto bene due tipi di padri, uno violento e repressivo, diremmo fondamentalistico, incapace di ascolto e rigido nella propria ignoranza, e l'altro del tutto irresponsabile, docile quanto inaffidabile. Ed erano i figli sedicenni che in realtà facevano da padri a questi adulti immaturi e inconsistenti. La crisi della paternità (e quindi di ogni autorità), di cui questo telefilm raccontava bene la gravità, non è altro che un effetto della crisi generale di una civiltà che non vuole seriamente prendere in considerazione la propria vertiginosa trasformazione.
Che autorità può avere infatti un padre (un insegnante, un prete o chicchessia) che non sappia più trasmettere un itinerario forte e vivo di maturazione? Che o riproduce modelli superati, violenti e patetici, o mi si presenta come un clone di una società senza direzione, senza dignità e senza senso? Per cui, come scriveva giustamente Fulvio Scaparro qualche anno fa, oggi più che mai, l'unico vero problema dei bambini e degli adolescenti sono gli adulti, e la loro caparbietà nel non volersi educare, nel non voler nascere.


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