giovedì 28 febbraio 2013

Il concetto di competenza nelle nuove Indicazioni Nazionali




 L’introduzione del concetto di “competenza” nella pedagogia scolastica è piuttosto recente, e non esiste una sua definizione precisa da tutti condivisa.Il motivo per cui si è cominciato ad affermare che le conoscenze acquisite a scuola devono diventare “competenze” è collegato alla critica di modi di apprendere privi di una vera comprensione delle conoscenze e tendenti al verbalismo, alla mera capacità di “parlare” di certi argomenti, senza averne vera consapevolezza e senza sapersene servire al di fuori del contesto scolastico.Il concetto di competenza è stato perciò legato alla capacità di usare consapevolmente ed efficacemente le conoscenze in rapporto a contesti significativi, che non riguardano solo prestazioni riproduttive, ma anche la soluzione di problemi.
      In genere, si ritiene che alla competenza, così sommariamente concepita, si debba riconoscere una struttura complessa, che tiene insieme vari aspetti che spesso tendiamo a distinguere e a contrapporre.
      In primo luogo, nella competenza è presente sia un aspetto “esterno”, la prestazione adeguata, sia uno “interno”, la padronanza mentale dei processi esecutivi; perciò, una competenza si definisce sia sul piano della performance osservabile (come volevano i comportamentisti), sia su quello del flusso delle operazioni cognitive che si compiono “nella testa” dell’alunno (come indicano i cognitivisti). In secondo luogo, una competenza implica contemporaneamente un “sapere” e un “saper fare” (o, come si dice nel gergo psicopedagogico, unisce la conoscenza dichiarativa e quella procedurale), perché le conoscenze non devono soltanto essere ripetute verbalmente, ma devono essere usate come strumenti d’azione (nella soluzione di problemi, per esempio).In terzo luogo, la competenza richiede sia la “cognizione” che la “metacognizione”; infatti, una vera competenza non si limita alla padronanza dell’esecuzione, ma comprende una certa rappresentazione della sua struttura e dei suoi criteri, anche se questa non giunge necessariamente alla capacità di descrizione verbale; quest’ultima, la capacità non solo di fare, ma di spiegare come si fa e perché, distingue propriamente l’esperto (colui che ha familiarità con un compito) dal principiante.Infine, nella competenza sono connessi tanto aspetti “cognitivi” quanto “affettivi”, poiché essa coinvolge anche atteggiamenti (la disponibilità ad impegnarsi nel campo in cui ci si sente competenti, per esempio) e motivazioni (per esempio, la “motivazione alla competenza”: la spinta ad agire con successo ed efficacia).
     Se l’analisi del concetto di competenza suggerisce che siano implicati questi diversi aspetti, questo non significa però che essi siano sempre chiaramente distinguibili o separabili, e ancora meno che si possano acquisire isolatamente gli uni dagli altri, come avviene per ciò che definiamo una “abilità” (che in una certa misura può essere analizzata in sotto-abilità, almeno in parte assimilabili separatamente o in sequenza). Probabilmente, si è più vicini al vero se si considerano gli aspetti della competenza come “ingredienti” che l’alunno aggiunge progressivamente e che si “amalgamano” nel corso dell’esperienza. In ogni caso, della competenza non si dà un “algoritmo”, ossia una serie di regole che basta applicare per agire con efficacia; anche se la pratica esperta segue dei principi, si capiscono veramente e s’impara ad adoperarli soltanto nel corso della pratica stessa. Per acquisire competenza, è perciò necessario impegnarsi in certe attività, con l’aiuto di una guida adeguata. La competenza nella ricerca storica, per esempio, richiede cognizioni storiche e conoscenza dei principi dell’indagine, ma la si acquisisce veramente soltanto facendo ricerca con la guida di un soggetto esperto.
      A questi elementi di carattere generale sulla nozione di competenza, occorre unire l’uso che ne fanno le nuove Indicazioni per il curricolo.
     Le Indicazioni parlano di “traguardi di sviluppo della competenza”. La competenza, perciò, è considerata come qualcosa che si “sviluppa”, che ha un processo di incremento che richiede un certo periodo di tempo. Infatti, tali “traguardi” sono proposti come terminali, si riferiscono cioè alla fine della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado; come dire: il raggiungimento di un dato livello di competenza richiede un intero grado scolastico.Per questo raggiungimento, inoltre, vengono indicati come “strategici” gli “obiettivi di apprendimento”, suggerendo così che lo sviluppo delle competenze è un processo indiretto, e rappresenta un effetto collaterale e di lungo termine del conseguimento di tali obiettivi.
     Gli obiettivi sarebbero cioè gli intermediari per assicurare lo sviluppo delle competenze. Non si deve perciò pensare che la progettazione per obiettivi vada sostituita con una progettazione per competenze; si sarebbe decisamente fuori strada; anzi, rispetto al quadro che emerge dalle Indicazioni, un’espressione come “progettare per competenze”, che può avere un suo senso come livello ulteriore della progettazione, deve essere usata con molta cautela, perché la sua logica risulta inevitabilmente diversa da quella pertinente per gli obiettivi. A questo proposito, un’ipotesi che mi pare coerente (o per lo meno non contraddittoria) rispetto al testo delle Indicazioni è che il senso progettuale del concetto di competenza sia quello di suggerire criteri che vincolano le modalità di raggiungimento degli obiettivi, se si vuole che questi conducano a sviluppare competenze. In altre parole, se è vero che vi sono molti modi di procedere per conseguire gli obiettivi, nondimeno solo una parte di essi porta far crescere “competenze” nel significato che abbiamo sommariamente indicato più su. In merito a ciò, nelle Indicazioni sono suggerite metodologie didattiche che possono essere interpretate come misure per garantire il passaggio dagli obiettivi alle competenze. 



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