L’introduzione del concetto di “competenza”
nella pedagogia scolastica è piuttosto recente, e non esiste una sua definizione
precisa da tutti condivisa.Il motivo per cui si è cominciato ad affermare che
le conoscenze acquisite a scuola devono diventare “competenze” è collegato alla
critica di modi di apprendere privi di una vera comprensione delle conoscenze e
tendenti al verbalismo, alla mera capacità di “parlare” di certi argomenti,
senza averne vera consapevolezza e senza sapersene servire al di fuori del
contesto scolastico.Il concetto di competenza è stato perciò legato alla
capacità di usare consapevolmente ed efficacemente le conoscenze in rapporto a
contesti significativi, che non riguardano solo prestazioni riproduttive, ma
anche la soluzione di problemi.
In genere, si ritiene che
alla competenza, così sommariamente concepita, si debba riconoscere una
struttura complessa, che tiene insieme vari aspetti che spesso tendiamo a
distinguere e a contrapporre.
In primo luogo, nella
competenza è presente sia un aspetto “esterno”, la prestazione adeguata, sia
uno “interno”, la padronanza mentale dei processi esecutivi; perciò, una
competenza si definisce sia sul piano della performance osservabile
(come volevano i comportamentisti), sia su quello del flusso delle operazioni
cognitive che si compiono “nella testa” dell’alunno (come indicano i
cognitivisti). In secondo luogo, una competenza implica contemporaneamente un
“sapere” e un “saper fare” (o, come si dice nel gergo psicopedagogico, unisce
la conoscenza dichiarativa e quella procedurale), perché le conoscenze non
devono soltanto essere ripetute verbalmente, ma devono essere usate come
strumenti d’azione (nella soluzione di problemi, per esempio).In terzo luogo,
la competenza richiede sia la “cognizione” che la “metacognizione”; infatti,
una vera competenza non si limita alla padronanza dell’esecuzione, ma comprende
una certa rappresentazione della sua struttura e dei suoi criteri, anche se
questa non giunge necessariamente alla capacità di descrizione verbale;
quest’ultima, la capacità non solo di fare, ma di spiegare come si fa e perché,
distingue propriamente l’esperto (colui che ha familiarità con un compito) dal
principiante.Infine, nella competenza sono connessi tanto aspetti “cognitivi”
quanto “affettivi”, poiché essa coinvolge anche atteggiamenti (la disponibilità
ad impegnarsi nel campo in cui ci si sente competenti, per esempio) e
motivazioni (per esempio, la “motivazione alla competenza”: la spinta ad agire
con successo ed efficacia).
Se l’analisi del concetto di
competenza suggerisce che siano implicati questi diversi aspetti, questo non
significa però che essi siano sempre chiaramente distinguibili o separabili, e
ancora meno che si possano acquisire isolatamente gli uni dagli altri, come
avviene per ciò che definiamo una “abilità” (che in una certa misura può essere
analizzata in sotto-abilità, almeno in parte assimilabili separatamente o in
sequenza). Probabilmente, si è più vicini al vero se si considerano gli aspetti
della competenza come “ingredienti” che l’alunno aggiunge progressivamente e
che si “amalgamano” nel corso dell’esperienza. In ogni caso, della competenza
non si dà un “algoritmo”, ossia una serie di regole che basta applicare per
agire con efficacia; anche se la pratica esperta segue dei principi, si
capiscono veramente e s’impara ad adoperarli soltanto nel corso della pratica
stessa. Per acquisire competenza, è perciò necessario impegnarsi in certe
attività, con l’aiuto di una guida adeguata. La competenza nella ricerca
storica, per esempio, richiede cognizioni storiche e conoscenza dei principi
dell’indagine, ma la si acquisisce veramente soltanto facendo ricerca con la
guida di un soggetto esperto.
A questi elementi di carattere
generale sulla nozione di competenza, occorre unire l’uso che ne fanno le nuove
Indicazioni per il curricolo.
Le Indicazioni
parlano di “traguardi di sviluppo della competenza”. La competenza, perciò, è
considerata come qualcosa che si “sviluppa”, che ha un processo di incremento
che richiede un certo periodo di tempo. Infatti, tali “traguardi” sono proposti
come terminali, si riferiscono cioè alla fine della scuola dell’infanzia, della
scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado; come dire: il
raggiungimento di un dato livello di competenza richiede un intero grado
scolastico.Per questo raggiungimento, inoltre, vengono indicati come
“strategici” gli “obiettivi di apprendimento”, suggerendo così che lo sviluppo
delle competenze è un processo indiretto, e rappresenta un effetto collaterale
e di lungo termine del conseguimento di tali obiettivi.
Gli obiettivi sarebbero cioè
gli intermediari per assicurare lo sviluppo delle competenze. Non si deve
perciò pensare che la progettazione per obiettivi vada sostituita con una
progettazione per competenze; si sarebbe decisamente fuori strada; anzi,
rispetto al quadro che emerge dalle Indicazioni, un’espressione come
“progettare per competenze”, che può avere un suo senso come livello ulteriore
della progettazione, deve essere usata con molta cautela, perché la sua logica
risulta inevitabilmente diversa da quella pertinente per gli obiettivi. A
questo proposito, un’ipotesi che mi pare coerente (o per lo meno non
contraddittoria) rispetto al testo delle Indicazioni è che il senso
progettuale del concetto di competenza sia quello di suggerire criteri che
vincolano le modalità di raggiungimento degli obiettivi, se si vuole che questi
conducano a sviluppare competenze. In altre
parole, se è vero che vi sono molti modi di procedere per conseguire gli
obiettivi, nondimeno solo una parte di essi porta far crescere “competenze” nel
significato che abbiamo sommariamente indicato più su. In merito a ciò, nelle Indicazioni
sono suggerite metodologie didattiche che possono essere interpretate come
misure per garantire il passaggio dagli obiettivi alle competenze.
Un documento congiunto sottoscritto da
associazioni e federazioni di area cattolica che operano nell'istruzione
e nella formazione chiede di superare ''ogni discriminazione
economica tra alunni del sistema nazionale d'istruzione e di
formazione'', ''basandosi sul principio costituzionale della
sussidiarietà”.
Il documento, sottoscritto da Fidae
(federazione delle scuole cattoliche), Fism (materne), Confap
(formazione professionale), Foe Cdo (ambito educativo della Compagnia
delle opere), Agidae (gestori), Agesc (genitori), Msc (studenti), si
rivolge “a tutte le forze politiche affinchè nel corso della
prossima legislatura portino a compimento i principi costituzionali
dell'autonomia e della parità, per adeguare il nostro sistema
d'istruzione e di formazione ai parametri europei e alle sfide
culturali, sociali ed economiche della complessa contemporaneità''.
In tal modo ''si vuole evidenziare al mondo della politica e delle istituzioni l'importanza della scuola nel suo insieme'', sottolinea don Francesco Macri', presidente della Fidae, ricordando che ''la scuola paritaria, che in stragrande maggioranza è cattolica, fa parte del sistema d'istruzione e formazione”.
Al mancato pieno riconoscimento della parità, prosegue il presidente della Fidae, “si aggiungono poi altri problemi, come una tassazione penalizzante, specialmente con l'Imu''. Un'imposta che, ad avviso di Macri', ''sarebbe nata a partire da un normativa europea che prevede la non turbativa della concorrenza'', ma che, anzi, allontana ancor di più tale obiettivo. Infatti, ''se
c’è uno sbilanciamento nella concorrenza, è a favore della scuola
statale, che è pienamente finanziata a differenza delle paritarie''.
Un
insegnante credente svolge il suo servizio educativo all’interno di qualsiasi
tipo di scuola sapendo di essere chiamato a testimoniare la sua fede
proprio mentre offre questo servizio: da essa trae continuamente
ispirazione
per caratterizzare il suo agire educativo. In linea di principio, tutto
ciò che si può dire del docente cristiano in genere vale anche per chi insegna
nella scuola cattolica. D’altra parte, per questa particolare categoria di
insegnanti è lecito ipotizzare, come suggerisce anche la Congregazione per
l’educazione cattolica, che nella scuola cattolica “gli insegnanti e gli
educatori vivano una specifica vocazione cristiana ed una altrettanto specifica
partecipazione alla missione della Chiesa”.
In
questa prospettiva possiamo richiamare tre tratti distintivi, che
qualificano – intrecciandosi l’uno con l’altro – la fisionomia peculiare del
docente di scuola cattolica e ne fanno precisamente:
– un
professionista dell’istruzione e dell’educazione;
– un
educatore cristiano;
– il
mediatore di uno specifico Progetto educativo e persona impegnata in un cammino di crescita e maturazione spirituale.
Questi tratti devono essere
sempre presenti, per quanto in proporzione variabile, nella “persona
fisica” dell’insegnante di scuola cattolica. La loro reciproca distinzione vuole
evidenziare al meglio quanto è più specifico di ciascuno,mentre
la sequenza nella quale vengono presentati intende prospettare la traiettoria
ideale del continuo e sempre maggiore perfezionamento, umano e
cristiano, di chi è chiamato ad insegnare.
a. L’insegnante cattolico come professionista dell’istruzionee
dell’educazione
Da
coloro che sono chiamati ad insegnare in una scuola cattolica ci si attende il possessodel
fondamentale requisito di base del ruolo docente, qualunque sia la scuola
in cui presta servizio: una reale e documentata competenza professionale, accompagnata
da specifiche attitudini e conquistata e maturata anche
nel corso dell’iter formativo compiuto. Essa comporta, tra l’altro:
–
un’adeguata conoscenza di contenuti e metodi d’insegnamento;
–
l’apertura all’innovazione e all’aggiornamento;
– il
riferimento ad una teoria della conoscenza aperta al trascendente ead una
visione antropologica ispirata ad un umanesimo integrale;
– la
consapevolezza della natura e del valore del rapporto educativo,
nonché
la disponibilità e la sensibilità nel praticarlo con ciascun alunnoin una
prospettiva persona - lizzata;
– la
capacità di lavoro collegiale;
– il
possesso di doti relazionali e comu- nicative;
– la
coscienza e il rispetto di una corretta deontologia profes- sionale insiemead una
effettiva onestà intellettuale.
Se la
risorsa formativa più importante dell’istituzione scolastica è rappresentata dalla
persona stessa dell’insegnante, sembra giusto che egli in prima
persona viva e faccia suoi gli atteggiamenti e le virtù da promuovere nell’alunno,
dal momento che l’esempio costituisce uno dei fattori più
importanti nell’educazione dei giovani.
b. L’insegnante cattolico come educatore cristiano
Un
secondo tratto che qualifica l’identità del docente di scuola cattolica è dato
dal fatto che questo professionista è chiamato ad insegnare in una
scuola che, per sua natura, si richiama ad una tradizione educativa e
pedagogica plurisecolare che si identifica con la paideia cristiana, cioè con
una visione cristiana della persona, della vita, della realtà, dell’educazione.
A
questo proposito occorre richiamare molto sinteticamente l’attenzione
sulla necessità dicondivi- dere alcuni punti di riferimento essenziali,quali:
– un preciso
e valido fondamento antropologico, consistente nella concezione dell’essere
umano come persona che trascende ogni realtà naturale e ogni
condizione socialmente o storicamente determinata, così come ogni
visione dell’uomo e dell’educazione di stampo funzionalistico e
individualistico;
– la
concezione dell’educazione come esercizio di libertà, che mette in guardia
dal ridurre il processo formativo a mero “addestramento”, e fa perno
invece sul “risveglio” e sull’iniziativa spirituale della persona, per
promuoverla e per salvaguardarla in base al principio di sussidiarietà;
– il
perseguimento di un umanesimo integrale come fine proprio e specifico dell’educazione,
comprensivo di ogni sua dimensione (quella civile e
politica non meno di quella morale e religiosa), nell’ottica di una laicità
rettamente intesa;
– il
riconoscimento della legittima autonomia e del valore del sapere scientifico,
inscritto nell’orizzonte della piena razionalità e dell’autentic dignità
dell’uomo, secondo l’insegnamento costante degli ultimi pontefici
e più volte riproposto da Benedetto XVI;
– una
ferma speranza che la persona umana è sempre educabile
– una
ferma speranza nella capacità umana di bene e la conseguente fiducia nelle
effettive potenzialità dell’opera educativa.
c. L’insegnante cattolico come mediatore di uno specifico Progetto
educativo e persona impegnata in un cammino di crescita e maturazione spirituale.
L’insegnante
di scuola cattolica è un educatore cristiano chiamato ad esercitare
il suo servizio educativo all’interno di una scuola che, in quanto cattolica,
si caratterizza per un particolare Progetto educativo. A partire dalla
specificità di tale Progetto è doveroso richiamare l’attenzione su
altri requisiti che concorrono a definire l’identità del docente di scuola cattolica
– requisiti che si possono individuare facilmente nei testi del
Magistero
e nel Codice di diritto canonico:
– la
retta dottrina, cioè la conoscenza, unita all’adesione, dei contenuti fondamentali
della fede cristiana, così come sono conservati e presentata nella
tradizione della Chiesa cattolica;
– la
probità di vita, cioè uno stile di vita coerente con il messaggio evangelico e con
gli insegnamenti della Chiesa;
– la
conoscenza dei tratti che definiscono l’identità della scuola cattolica e,
nello specifico, la disponibilità e la capacità di elaborare una proposta educativa
originale e coerente con il progetto educativo dell’istituzione in cui
si è chiamati ad operare.
Su
quest’ultimo punto, decisamente cruciale per la salvaguardia dell’identità della
scuola cattolica, occorre soffermarsi brevemente, per chiedersi in che
cosa possa consistere la differenza tra l’insegnamento impartito
nella
scuola cattolica e quello svolto nella scuola.Un insegnante credente svolge il
suo servizio educativo all’interno di qualsiasi
tipo di scuola sapendo di essere chiamato a testimoniare la sua fede
proprio mentre offre questo servizio: da essa trae continuamente ispirazione
per caratterizzare il suo agire educativo.
In linea di principio, tutto
ciò che si può dire del docente cristiano in genere vale anche per chi insegna
nella scuola cattolica, ma se
vogliamo definire correttamente l’identità dell’insegnante di scuola cattolica
dobbiamo tenere presenti i tratti fondamentali che caratterizzano l’istituzione
educativa all’interno della quale egli viene chiamato ad operare:
una scuola che si caratterizza appunto come cattolica.
In
questa prospettiva si possono individuare almeno quattro tratti distintivi, che
qualificano – intrecciandosi l’uno con l’altro – la fisionomia peculiare del
docente di scuola cattolica e ne fanno precisamente:
– un
professionista dell’istruzione e dell’educazione;
– un
educatore cristiano;
– il
mediatore di uno specifico Progetto educativo;
– una
persona impegnata in un cammino di crescita e maturazione spirituale.
Questi
quattro tratti devono essere
sempre presenti, per quanto in proporzione variabile, nella “persona
fisica” dell’insegnante cattolico e non solo in quanto insegnante di scuola cattolica...! In effetti l'insegnante cattolico, senza ricorrere a giri di parole, oltre che mediatore di un progetto educativo è persona costantemente impegnata in un cammino di crescita e maturazione spirituale fondato sul Vangelo .