Pubblichiamo la prima delle tre parti di cui consta lo studio di Sr Paola Arosio, SdC, sulle possibili modalità di incentivazione della Fede all'interno dei "luoghi" educativi, intesi anche come possibili "laboratori di fede".
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Per una fede
possibile, comprensibile, desiderabile negli ambienti educativi:
Quale spiritualità pastorale?
Quale organizzazione?
Quale pedagogia?
ALCUNE
CONDIZIONI CONCRETE FAVOREVOLI
Congregazione per l’educazione nella scuola cattolica n. 9
La scuola cattolica si configura come scuola per la persona
e delle persone. «La persona di ciascuno, nei suoi bisogni materiali e spirituali,
è al centro del magistero di Gesù: per questo la promozione della persona umana
è il fidella scuola cattolica»
Perciò la scuola cattolica, impegnandosi a
promuovere l'uomo nella sua integralità, lo fa, obbedendo alla sollecitudine
della Chiesa, nella consapevolezza che tutti i valori umani trovano la loro
realizzazione piena e quindi la loro unità nel Cristo. Questa consapevolezza
esprime la centralità della persona nel progetto educativo della scuola
cattolica, ne rafforza l'impegno educativo e la rende idonea ad educare
personalità forti.
Lo sappiamo per noi stessi, per ciascuno di noi, e
con questa umile consapevolezza ci mettiamo a servizio della formazione
intellettuale, morale e fisica dei ragazzi: l’umanità è costantemente in evoluzione, l’umanità è sempre in attesa e in
via di compimento. Del resto, anche i nostri modi di dire ce lo rivelano:
“Quanto è umano quel medico!”, “quel sacerdote è molto umano”,
“quell’insegnante, quell’infermiere, quell’imprenditore… è pieno di umanità”.
L’aggettivo umano, dunque, non indica solo una specificazione
biologica. Ci restituisce la coscienza che l’essere
umano degli uomini e delle donne non è affatto realtà scontata. È conquista. È fatica.
Da questo punto di vista, la scuola cattolica è, prima di tutto e soprattutto, un servizio di umanizzazione a
vantaggio delle persone e dell’intera comunità civile. Divenire umano, uscire
dalla violenza, edificare la convivialità sociale, amare e abitare il mondo
nella passione per la giustizia, per la ricerca del bene comune, per
l’ospitalità del creato, è un compito né dato, né tracciato in anticipo.
Richiede tempo e lavoro. E l’istituzione
scolastica, al riguardo, è un luogo
privilegiato dove, secondo un’espressione tradizionale “si costruisce la
propria umanità”. Si tratta, semplicemente e prioritariamente, di contribuire alla sviluppo in pienezza
dell’umanità di ciascuno. La scuola cattolica, mettendo a disposizione
dell’umanità la propria tradizione spirituale, pedagogica, formativa,
contribuisce al compito di umanizzazione.
Ma vi
contribuisce ispirandosi all’antropologia cristiana”, cioè dal punto di vista specifico del Vangelo.
Quindi, se per la scuola cattolica l’umanizzazione è già un fine in sé, esso
non è l’unico. Perché sulla strada
dell’umanizzazione, la scuola cattolica intende aprire uno spazio propositivo
di accompagnamento e di maturazione della fede cristiana. Non perché questa
sia necessaria alla vita dell’uomo. Basta guardarsi intorno: moltissime vite
umane si sviluppano e si mettono al servizio degli altri senza essere sostenute
da una fede in Dio. La “questione di Dio” oggi non trova più un punto di
ancoraggio nell’esistenza, in Occidente, nella maggior parte delle persone,
senza peraltro che si assista ad un crollo di senso e di valori[1].
Infatti, non c’è vita senza “fede”, ma nel senso di “senza fiducia in sé stessi, nell’altro,
nella vita”. Noi tutti siamo attaccati alla vita, ci crediamo, lottiamo per la
sua conservazione e per il suo miglioramento e desideriamo viverla nel modo
migliore possibile. Questo tipo di fede è necessaria alla vita, ma essa non
indica specificamente la confessione della fede cristiana.
La
convinzione della scuola cattolica, al riguardo, consiste nel fatto che riconoscere Dio, se non è necessario per
vivere, può tuttavia essere vivificante per l’uomo e per la donna, per farlo crescere ancora di più nella sua umanità. E non si
tratta solo di avviare i giovani al fatto religioso. Lo fanno anche le
istituzioni statali, in quanto fa parte dell’opera di umanizzazione di cui
sopra. Ma, pienamente impegnata nel campo dell’umanizzazione, oltre
all’apertura al fatto religioso, la scuola
cattolica intende annunciare e proporre esplicitamente la fede cristiana alla
quale si riferisce. Non in quanto questa proposta sia secondaria o
aggiuntiva, ma iscrivendosi in uno
spazio di gratuità e di libertà: seguendo la scia del lavoro di
umanizzazione degli studenti, la scuola
cattolica intende offrire le condizioni che rendano la fede liberamente
possibile, comprensibile, desiderabile.
Per una fede
possibile, comprensibile e desiderabile nel mondo scolastico
Gli ambienti educativi in genere (scuole,
oratori, collegi, società sportive o musicali, movimenti e associazioni
giovanili…) sono un microcosmo della società. Riguardo alla proposta della fede
cristiana si presentano come un terreno privilegiato dove si possono
sperimentare le difficoltà, ma anche le opportunità della fede cristiana per il
mondo futuro. Gli ambienti educativi sono luoghi per eccellenza per far
crescere in umanità nello spirito del Vangelo. Almeno per una parte, il mondo
di domani e, con esso, il cristianesimo futuro sono in gestazione negli
ambienti educativi di oggi.
Certamente vi sono delle condizioni concrete che
favoriscono il risveglio e la
maturazione delle fede cristiana nelle nuove generazioni all’interno degli
ambienti educativi. Ma prima di individuarle, occorre che comprendiamo bene da quale tipo di realtà sociale sono
avanzate, quale spiritualità pastorale esigono e quindi in quale tipo di
organizzazione meglio si esprimono.
Nell’attuale
ambiente culturale:
Sul piano sociale e culturale, ciò che viene
consegnato ai giovani, è un mondo secolarizzato, pluralista, multi-religioso,
cioè un mondo cui le proposte di senso sono diverse e dove ciascuno deve tracciare
il proprio cammino, trovare le sue risorse e formare le sue convinzioni.
La crisi
della trasmissione religiosa appare,
da questo punto di vista, non come la fine della religione, ma come un’interruzione della sua trasmissione
automatica, per il fatto che questa è ormai dipendente dalla riflessione,
dall’interpretazione, dalla libertà, dalla decisione come anche dall’indecisione
di ciascuno. Per i giovani di oggi la fede è soprattutto, per forza di cose,
interrogativi, questioni aperte e punti di sospensione…E questi dubbi, domande,
incertezze, esplorazioni, sono per loro, e per noi, un punto di partenza, non
un punto finale. Il futuro, a riguardo, può sempre riservare delle sorprese. Il contesto culturale attuale,
globalizzato, inter-etnico, e multireligioso va guardato senza ingenuità, ma
con fiducia. Mette sicuramente alla
prova la fede, ma nello stesso tempo le
apre una stagione assolutamente inedita: la fine del cristianesimo sociologico
può essere l’inizio del cristianesimo
della grazia e della libertà. Chi può misurare le sorprese che lo Spirito
prepara alla sua Chiesa?
Giovanna
Antida, fatte le debite differenze, si è addirittura trovata immersa in un
mondo culturale e sociale nel quale era stata bruscamente e violentemente
interrotta la catena della tradizione della fede. Eppure, senza nostalgie o
rimpianti per un mondo unanimemente cristiano come era stato quello delle
campagne francesi dell’Ancien Régime, ha coinvolto molte altre giovani donne della
sua diocesi, e non solo, nell’impresa
pastorale di “insegnare ai poveri, ai malati e anche ai bambini a conoscere,
amare e servire Dio", per riportare a Dio un’umanità che ne era stata
violentemente allontanata dalla sistematica azione scristianizzatrice attuata
durante le fasi più acute della Rivoluzione Francese.
“Siamo eredi
di una lunga tradizione vivente che vogliamo rendere attuale…” (RdV 1.4.1):
Servire i poveri
(i bambini, i ragazzi, i giovani,
gli studenti, le loro famiglie,
gli insegnanti, i collaboratori, le suore…)
membra preziose di Gesù Cristo,
aiutandoli a risalire
dai loro bisogni primari
a quelli ultimi, più profondi e più veri,
fino alla loro dignità di figli di Dio,
accompagnare le persone
nelle loro ricerche,
aiutandole a conoscere ed amare il Signore
(Intenzione fondazionale di J.A. Thouret)
Quale
spiritualità pastorale negli ambienti educativi?
Il
servizio e l’evangelizzazione dei poveri
sono
per noi, come per Gesù,
le
espressioni privilegiate dell’amore,
caratterizzano la missione che la Chiesa “serva e povera” ci affida.
Nelle attuali, difficili situazioni, ciò di cui
hanno bisogno i cristiani impegnati in
nome delle loro fede in particolare negli ambienti educativi, è una spiritualità pastorale che permetta
loro di attuare, con realismo,
intelligenza e felicità, il loro desiderio di vivere e di trasmettere il tesoro
del Vangelo. Questo tipo di spiritualità pastorale è fondamentalmente diaconale: è mettersi al servizio dello sviluppo
della piena umanità di ciascuno, nella propria identità e singolarità per la
grazia di Dio. Questa spiritualità pastorale
lotta contro le forze del male e promuove, rispettando l’altro e
preoccupandosi del bene comune, l’emergere
di ognuno a se stesso. Negli ambienti educativi siamo, dunque, in
attitudine diaconale, affinché il nostro servizio susciti vita in tutte le sue
dimensioni: fisica, psichica, intellettiva, affettiva, culturale, spirituale.
Ma non ci
accontentiamo di riconoscere la grazia di Dio in questa vita buona che emerge,
si afferma, si dilata…manifestando il mistero pasquale, il passaggio della vita
attraverso la grazia di Cristo. Vogliamo
darne anche testimonianza esplicita, affinché il mistero pasquale venga
conosciuto e riconosciuto: “Liberamente
accogliamo – RdV 2.1.1. – il mistero
pasquale di Gesù Cristo con tutte le sue esigenze di conversione e di vita
nuova”. Così si collegano strettamente umanizzazione ed evangelizzazione.
Perché se Dio ama, se Dio genera alla
vita umana e salva, riconoscere quest’opera di Dio, celebrarla, rallegrarsene,
nutrirsene, significa partecipare alla generazione stessa.
·
In questa spiritualità pastorale di tipo
diaconale, non ci si stupisce che la fede cristiana sia difficile, che incontri
resistenze; non ci si scandalizza, non ci si adombra, non ci si rattrista che
l’incredulità, l’insofferenza, il dubbio, la critica, la presa di distanza…siano
per la maggior parte dei nostri ragazzi e dei loro genitori delle situazioni
“normali”.
·
Una spiritualità pastorale di tipo diaconale non
vede il mondo attuale come un mondo che si scristianizza e al quale
bisognerebbe opporsi, ma come un mondo diventato plurale e secolare, le cui
sfide sociali, culturali, politiche e le aspirazioni spirituali forniscono
nuove opportunità al Vangelo.
·
Una spiritualità pastorale di tipo diaconale non
si identifica con un passato che ora è fortemente minacciato e di cui
bisognerebbe difendere l’esistenza; al contrario, si considera una forza
propositiva e fondante per costruire il mondo di domani. I cristiani, in questa
situazione, non hanno nulla da perdere, ma tutto da guadagnare: si sforzano
semplicemente di essere, nella società e per essa, una forza fondante di
umanizzazione in nome del Vangelo che essi proclamano e propongono a chi vuole
ascoltarlo.[2]
Si tratta,
in una battuta, di acconsentire a servire
la vita così come essa è, e non come vorremmo che fosse: è vegliare al bene, è volere il bene,
lottando contro tutte le forze del male, ridando nuova vita, attualizzando,
rigenerando, per l’oggi, quello che fu all’origine della vocazione di Giovanna
Antida e della sua famiglia
spirituale:
Servire il Regno di Dio,
lavorando per la liberazione dal male
in tutte le sue forme,
è cooperare alla salvezza di tutti gli
uomini e di tutto l’umano.
(Intenzione fondazionale di
J.A. Thouret)
[1]
Ci riferiamo qui a Paesi come la Germania orientale, la Svezia, la
Repubblica Ceca, l’Olanda, un’area europea dove la maggioranza della
popolazione è semplicemente e serenamente a-religioso. E bisogna guardarsi bene
dall’insinuare che l’homo areligiosus
della Germania orientale sia per questo meno attento ai valori umani dell’homo religiosus della Baviera o della
Polonia. Sotto questo aspetto, la situazione in Germania orientale è uguale e
per certi versi migliore, di quella della Germania occidentale, ancora
fortemente strutturata dal cristianesimo.
[2]
Nella società, possiamo distinguere
dei poli « istituiti », frutto della storia, e dei « poli
fondanti », che ne modificano il corso. Quando i cristiani si identificano con i
poli istituiti della società, allora percepiscono i poli fondanti come una minaccia, si sentono braccati, entrano in
un processo di autodifesa e di resistenza contro ciò che rischia di
travolgerli. Se, al contrario, i
cristiani non si identificano con i poli istituti, essi li riconoscono come se
esistessero senza di loro, ma anche come uno spazio nel quale possono impegnarsi
per modificare le cose e indirizzarle in senso evangelico. In questo caso, i
cristiani non si sentono più assediati, ma si
impegnano nelle situazioni così come esse si presentano, consapevoli di potervi
giocare il proprio ruolo di cambiamento, di “polo fondante”. In questo
caso, i cristiani si sforzano di essere, nella società e per essa, una forza di
umanizzazione in nome del Vangelo, che essi proclamano e propongono a chi vuole
ascoltarlo.
3 commenti:
Ottima riflessione. Mi congratulo.
Una fede COMPRENSIBILE. Non è facile trasmetterla, ma bisogna provarci in continuazione e la scuola è un luogo privilegiato per farlo.
E'una grande sfida,ma dipende molto da noi educatori:dobbiamo sforzarci di essere credenti,credibili e creduti,solo così con l'aiuto di Dio,la scuola può essere un'opportunità per i nostri ragazzi di desiderare e crescere nella fede
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