lunedì 29 luglio 2013

EDUCARE, ISTRUIRE , FORMARE... E' UNA PAROLA...!

    La mancata condivisione ampia dei valori attribuiti a termini come questi crea non di rado, nel dibattito pedagogico, molta confusione.
    Stavolta, aiutandoci con la bella sintesi che ne ha fatto di recente Benedetto Vertecchi, vorremmo entrare nel profondo di queste tre azioni sinergiche affidate " anche " alla Scuola.

    Può sembrare una stravaganza che, coi tempi che corrono e con tutti i problemi che quotidianamente occorre affrontare, ci si preoccupi di questioni lessicali e ci si riprometta, com’è implicito nel titolo di questo intervento, di puntualizzare il significato di parole che tutti siamo soliti utilizzare, come educazione, istruzione e formazione. Eppure, se si ha la pazienza di seguire gli argomenti che mi appresto a esporre, si può giungere ad una conclusione diversa, e cioè che un po’ di chiarezza potrebbe giovare a porre il confronto su un terreno di maggiore correttezza e, soprattutto, potrebbe accrescere la consapevolezza relativa alle trasformazioni in atto nel sistema educativo italiano e in quelli dei paesi con i quali è più frequente l’abitudine a stabilire confronti.
    Anche se provvisoriamente, possiamo riconoscere a due delle tre parole che stiamo per prendere in considerazione (educazione e istruzione) i significati con i quali sono state usate nella tradizione culturale italiana ed europea. In tale tradizione, i significati delle due parole sono collegati da un rapporto di inclusione, perché l’istruzione è parte dell’educazione. Più specificamente, l’istruzione è una manifestazione esplicita dell’educazione, che ha l’intento di trasferire repertori culturali. Il messaggio di istruzione procede da chi possiede gli elementi da trasferire a chi non li
possiede, senza particolari vincoli derivanti dall’età dei soggetti che partecipano al processo. Ciò è particolarmente evidente nel caso dell’istruzione che interessi un pubblico adulto: chi formula il messaggio di istruzione può essere più anziano di chi lo riceve (situazione questa improbabile se i destinatari, com’è nella scuola, sono bambini e ragazzi). Ovviamente, il significato di educazione è più ampio, investendo aspetti dell’adattamento alla vita che non comportano apprendimenti formalizzati. Spesso tali aspetti sono acquisiti in modi impliciti, per imitazione, e riguardano stili di comportamento, valori, pratiche dell’esistenza quotidiana. In Italia il contrasto politico tra laici e cattolici che aveva cominciato a manifestarsi nell’età del Risorgimento ha prodotto una contrapposizione artificiosa, che si è conservata fino a qualche decennio fa: i cattolici hanno preferito parlare di educazione, perché si poteva comprendere nel significato della parola il trasferimento di principi morali, mentre i laici hanno posto maggior enfasi sull’istruzione, perché hanno visto nel trasferimento di repertori culturali una condizione di progresso individuale e sociale.
    La fortuna della terza parola, formazione, è abbastanza recente. Negli anni sessanta, sull’onda della incipiente collaborazione tra cattolici (democristiani) e laici (socialisti) sembrò opportuno smussare le differenze tra i rispettivi orientamenti ideali anche dal punto di vista linguistico. La parola formazione era molto meno usata di quanto non sia avvenuto successivamente: indicava, com’è evidente considerandone l’etimologia, il prender forma (per esempio, nel processo di sviluppo) o il dar forma (in questo caso, si trattava di conferire a qualcuno caratteristiche che precedentemente non aveva: è il caso della formazione professionale, come ha posto opportunamente in evidenza Max Weber in Die protestantische Ethik und der Geiste des Kapitalismus). Nella cultura italiana era frequente l’uso di formazione con il significato di prender forma, mentre lo era molto di meno in quello di dar forma. La stessa formazione professionale era indicata con la parola addestramento, peraltro corrispondente all’inglese training: è interessante osservare che in questo caso i cultori della lingua imperiale abbiano preferito seguire una via diversa. Molti ritennero che l’eccesso d’ideologia che si riconosceva nell’uso di educazione e istruzione potesse essere eliminato ricorrendo ad una parola non compromessa nelle polemiche fra cattolici e laici, come formazione. È accaduto il contrario: non solo formazione ha mostrato di essere quello che era (una parola satura di connotazioni ideologiche), ma ha finito col costituire una sorta di cavallo di Troia per trasportare nel campo dell’educazione modelli, formule organizzative, pratiche funzionali ad altre logiche e coerenti con altri scopi.
  
   In particolare, l’enfasi sulla formazione si è accompagnata all’affermazione di una categoria di utilità che forse è appropriata per l’acquisizione di competenze professionali, ma che è difficile affermare lo sia per l’educazione. Basterà un esempio per chiarire il senso di questa affermazione: leggere la Commedia è utile in una prospettiva educativa, ma è del tutto inutile in una formativa, dal momento è del tutto improbabile che ciò che si ricava da tale lettura possa essere utilizzato per fornire prestazioni orientate ad ottenere un beneficio valutabile in termini economici; viceversa, imparare ad usare un computer può essere carico di utilità nel breve termine, ma non produce quell’adattamento stabile del profilo culturale di un soggetto che siamo abituati a collegare all’educazione. Del resto, nessuno parla di formazione poetica, mentre ascoltiamo cori assordanti di cantori della formazione tecnologica.
     Oggi i termini del contendere non sono più tra cattolici e laici (educazione versus istruzione), ma tra chi enfatizza per le nuove generazioni l’adattamento a breve termine (formazione) e chi è convinto che si debbano considerare le esigenze che si presenteranno in un lungo, e per di più crescente, periodo di tempo, quello che segue gli anni dell’educazione sequenziale e che comprende la partecipazione alle attività produttive e alla vita sociale, fino all’epilogo che interviene in un’età sempre più tarda (ricordiamo che in un secolo la speranza media di vita è cresciuta di una trentina d’anni).
      Si direbbe che oggi il fattore che distingue le
scelte di politica scolastica sia costituito dalla maggiore o minore attenzione al tempo come criterio per la definizione d’interventi in senso lato educativi (ma di volta in volta orientati soprattutto all’istruzione, se l’intento è l’affermazione della ragione e della creatività di bambini e ragazzi, o alla formazione, se invece si ritiene preferibile, come sembra che molti siano convinti, fornire i giovani di un corredo di competenze utilitarie valide nell’immediato). Non c’è dubbio che le scelte educative centrate sull’istruzione siano le più impegnative, e per certi versi le più impopolari, perché possono cozzare con opinioni radicate nel senso comune senza potersi giovare degli aloni suggestivi richiamati da molte delle proposte della formazione. Sono aloni che impressionano soprattutto gli strati meno favoriti della popolazione, ai quali si suggerisce di approfittare dell’utilità collegata all’acquisizione di capacità utilizzabili nell’immediato.     
      Si trascura di osservare che si tratta, in ogni caso,
di un’utilità transitoria, perché soggetta a ritmi incalzanti di sostituzione delle tecnologie e delle abilità necessarie per servirsene. E si trascura anche di osservare che a questa utilità sembrano del tutto insensibili gli strati favoriti della popolazione, che continuano a preferire per i loro figli un’impostazione degli studi nella quale la maggior attenzione sia rivolta ad apprendimenti che possano essere conservati nel corso della vita e possano costituire la base per processi di adattamento successivo: meglio saper argomentare e esprimere correttamente in forma scritta il proprio pensiero che saper riversare un testo in una memoria digitale tramite un programma di scrittura. Saper esprimere il proprio pensiero è un elemento che connota il profilo di un soggetto per tutto l’arco della vita; usare un programma di scrittura è utile finché non cambi la tecnologia prevalente per la conservazione dei test

venerdì 19 luglio 2013

PERCHE' L'AUTONOMIA DELLE SCUOLE PARITARIE CATTOLICHE?

   Questa Consulta Scuola, Cultura ed Educazione della Congregazione delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret da almeno un anno sta lavorando alacremente per mettere al passo coi tempi le proprie istituzioni scolastiche  mediante un nuovo regime di autonomia  didattica e gestionale, che nella scuola statale  è ormai "vecchio" di oltre dieci anni, rispettosissimo dei dettami della normativa in vigore per la  vita delle paritarie, ma al contempo capace di aprire una prospettiva concreta di trasparenza e di intraprendenza nuove sia a livello educativo sia a livello amministrativo. 
    Un'impresa importante, complessa, audace che già dal prossimo , ormai imminente, anno scolastico dovrebbe interessare un primo, significativo gruppo di scuole chiamate a una forte ripresa delle linee del carisma educativo delle Suore della Carità, ma anche a un'innovazione organizzativa e didattica che ridia slancio e vitalità alla nostraazione didattica ed educativa
      Il tutto nella linea di quanto fortemente auspicato delle associazioni delle scuole paritarie cattoliche e della formazione professionale (Fidae, Fism, Confapp, Foe Cdo, Agidae, Agesc, Msc) nell'appello recentemente prodotto al M.I.U.R., che rimane per tutti una pietra miliare nel processo , ormai irrinunciabile, di realizzazione dell'autonomia delle scuole paritarie cattoliche e che, ad ogni buon fine, riportiamo qui integralmente per una rilettura consapevole da parte dei nostri lettori.
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"L’autonomia scolastica è lo strumento strategico per inserire il sistema scolastico italiano a pieno titolo nel contesto culturale e formativo europeo.
La scuola dell’autonomia è la scuola della comunità e della società civile. Lo Stato, anche secondo il dettato costituzionale, determina e garantisce i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili all’istruzione e all’educazione su tutto il territorio nazionale. La “gestione” delle istituzioni scolastiche e formative attiene alle competenze regionali, mentre il “governo” della scuola attiene al livello nazionale.
In un sistema di governo fondato sul principio costituzionale della sussidiarietà, lo Stato detta le norme di carattere generale del sistema d’istruzione e attua il controllo e la valutazione dei risultati raggiunti ed interviene in forma sussidiaria nei confronti degli enti territoriali che non sono in grado di assicurare l’erogazione del servizio ed il raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni.
In questo contesto la famiglia, come sancito dalla nostra carta costituzionale e dalle dichiarazioni internazionali dei diritti, deve godere, per il suo primario e inalienabile diritto-dovere educativo, di una piena libertà di scelta tra scuole statali, scuole paritarie, centri di formazione professionale e di una reale corresponsabilità all’interno degli istituti scolastici, cooperando fattivamente alla definizione del “patto educativo tra scuola, studenti, famiglia e comunità locale“. Affinché il diritto di libera scelta educativa della famiglia possa essere reale è necessario tutelare e garantire la libertà e il pluralismo delle istituzioni scolastiche e dei modelli pedagogico-educativi.
Dopo la riforma del 2001 della nostra Carta fondamentale, l’istanza della parità effettiva tra scuole statali e scuole paritarie va letta a partire dall’introduzione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche considerata alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione (Legge costituzionale n.3/2001). Considerato in questa nuova cornice, la parità risulta:
• ulteriormente fondata in base ai principi della costituzionalizzazione dell’autonomia scolastica e della sussidiarietà in materia di istruzione e di formazione professionale;
• riferita al riconoscimento del carattere pubblico del servizio reso dalle scuole che costituiscono il sistema nazionale di istruzione;
• ridefinita come equità nell’accesso degli alunni e delle loro famiglie al sistema pubblico di istruzione e di formazione.
E’ necessario che la classe politica nella sua interezza prenda piena consapevolezza degli elementi costituzionali che esplicitano e rendono cogente la piena attuazione della libertà di scelta educativa e il riconoscimento, giuridico ed economico, del carattere pubblico del servizio offerto anche dalle scuole paritarie e dai centri di formazione professionale.Una sinergica correlazione tra le norme generali sull’istruzione e le prestazioni essenziali in materia di istruzione e formazione professionale garantiscono il coordinamento delle scuole (statali e paritarie) verso la realizzazione di fini sociali del sistema formativo. L’indicazione dei livelli essenziali delle prestazioni specifica il livello qualitativo che devono raggiungere l’offerta formativa delle scuole e dei centri di formazione professionale (fondamentali per contrastare l’elevata dispersione scolastica) e gli apprendimenti e le competenze acquisite degli alunni.
Il sistema dell’istruzione e dell’istruzione e formazione professionale (IeFP), indipendentemente dalla
configurazione giuridica degli enti gestori, è pubblico e consente l’accreditamento delle scuole e dei centri che vi fanno parte, in quanto:
• è rivolto a tutti i soggetti titolari del diritto all’istruzione;
• rispetta le norme generali e le prestazioni essenziali;
• è retto dai principi di sussidiarietà, di autonomia e di pluralismo delle istituzioni scolastiche e formative.
In vista delle prossime elezioni politiche ci rivolgiamo a tutte le forze politiche affinché nel corso della prossima legislatura portino a compimento i principi costituzionali dell’autonomia e della parità, per adeguare il nostro sistema di istruzione e di formazione ai parametri europei e alle sfide culturali, sociali ed economiche della complessa contemporaneità.
Le associazioni firmatarie del presente documento chiedono di prendere con decisione l’iniziativa avviando il superamento di ogni discriminazione economica tra alunni del sistema nazionale di istruzione e di formazione e basandosi sul principio costituzionale della sussidiarietà.
Chiedono pertanto che:
• tutte le istituzioni scolastiche e formative del sistema nazionale di istruzione, indipendentemente dalla natura giuridica della gestione, possano essere accessibili a tutti considerando che sono gli stessi alunni, con i genitori, titolari del diritto all’istruzione;
• nell’esercizio di tale diritto costituzionale, sia superata ogni discriminazione economica tra gli alunni di scuole statali e paritarie allo scopo di renderne possibile l’esercizio senza condizionamenti di sorta;
• al personale docente e non docente delle scuole paritarie – conseguentemente alla parità economica – possa essere assicurato un trattamento economico equipollente, a tutela della professionalità.
Circa lo strumento di attuazione propongono un finanziamento diretto alle scuole autonome accreditate del sistema nazionale di istruzione (statali e paritarie) sulla base del “costo standard di gestione delle scuole”, da calcolare attraverso:
• il numero degli alunni iscritti e/o il numero delle sezioni/classi funzionanti;
• i costi fissi di funzionamento delle scuole anche con l’introduzione di opportuni accorgimenti, già operanti in altri Stati, in grado di distinguere tra i vari ordini e gradi di scuole e di tenere conto della situazione di aree particolarmente disagiate.
Chiedono, infine, che sin dai primissimi mesi della nuova legislatura si proceda a:
• semplificare e razionalizzare i passaggi burocratici che rallentano e complicano l’erogazione dei contributi alle scuole paritarie e ai centri di formazione professionale;
• adeguare, finalmente, l’entità dei contributi statali e regionali, che sono a sgravio delle rette scolastiche a carico delle famiglie, a maggior ragione dato il quadro socio-economico odierno di gran parte delle stesse, anche attraverso adeguati interventi e soluzioni di tipo fiscale;
• rendere coerente lo stanziamento nazionale destinato alle attività IeFP alla domanda di formazione che
emerge dalle Regioni.
                         FIDAE, FISM , CONFAP, FOE CDO, AGIDAE, AGeSC, MSC"





venerdì 12 luglio 2013

QUELLA TERRA DI NESSUNO DOVE L”OBBLIGO SCOLASTICO” RISCHIA DI ESSERE SOLO UN’ESPRESSIONE SENZA SIGNIFICATO...

UNA SCUOLA ANCHE PER GLI IMMIGRATI
O DEGLI IMMIGRATI PER I NUMERI DELLA SCUOLA?
   Quanti sono realmente gli immigrati che di anno in anno, anzi di giorno in giorno raggiungono i nostri paesi e le nostre campagne? E quanti vi rimangono? E quanti dei loro figli minori di 16 anni assolvono  a quell’espressione  ormai burlesca chiamata “obbligo scolastico”, che invece più verosimilmente andrebbe sostituita  con quel “Diritto alla formazione”, di cui tanta legislazione  italiana sia a livello centrale sia a livello periferico ha sempre  minimizzato , se non rifiutato caparbiamente, ogni ratio?

   E’ un dato di fatto che, pur in presenza di una normativa sovrabbondante, modalità realmente efficaci di prevenzione del fenomeno  del mancato assolvimento dell’obbligo scolastico da parte di tanti minori, e in particolare dei minori figli di immigrati, non si riesce a trovarne o a metterne in atto in un’azione realmente sinergica tra scuole, comuni, prefetture, questure, tribunali dei Minori, agenzie educative e formative varie.

   In questo post, rispetto agli altri forse molto prolisso, cerco di mettere a fuoco una situazione e una
normativa magmatiche, che probabilmente, anche a causa della loro farraginosa complessità, prestano facilmente il fianco a una situazione molto ampia o quasi generalizzata di inosservanza o di osservanza solo formale, comunque di quasi totale inefficacia.
   I minori stranieri comunque presenti sul territorio italiano hanno il diritto e il dovere all’istruzione; per essi valgono i principi di vigilanza  sull’adempimento dell’obbligo scolastico. Le scuole pubbliche sono tenute ad accoglierli. E tale diritto all’istruzione scolastica dei minori stranieri arrivati in Italia legalmente (assieme ai  genitori con permesso di soggiorno) o clandestinamente  (assieme ad adulti privi di permesso ovvero giunti ‘non accompagnati’) è affermato da:
  • Costituzione della Repubblica Italiana (Artt.10,30,31,34);
  • Convenzioni di diritto internazionale;
  • Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dallo Stato italiano con legge 4/8/1955, n.848. In particolare art.2 del protocollo addizionale: “ A nessuno può essere interdetto il diritto all’istruzione. Lo Stato, nell’attività che svolge  nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, rispetterà il diritto dei genitori di assicurare questa educazione e questo insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche”:
  • Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 10/12/1948; 
  •  Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo ( ONU,  20 Novembre 1959);
  • Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (ONU, 20.11.1989, ratificata dallo Stato italiano con legge 27/5/1991, n.176);
  • Direttiva CEE n.486/77;
  • Patto internazionale sui diritti civili e politici (ONU, 16/12/1966, entrato in vigore il 23/3/1976). In particolare  l’ art.24: “Ogni fanciullo, senza discriminazione alcuna fondata sulla razza, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica o la nascita, ha diritto a quelle misure protettive che richiede il suo stato minorile, da parte della famiglia, della società e dello Stato”;
  •  Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ONU, 16/12/1966, entrato in  vigore il 23/3/1976);
  • Norme dello Stato italiano: ne esisterebbe un elenco lunghissimo e riguardante aspetti tra loro non di rado contraddittori. Mi limito a citare solo due tra le fonti normative più recenti che in qualche modo vorrebbero sintetizzare  tutta la produzione pregressa:
            - Decreto del Presidente della Repubblica 122 del 22 giugno 2009, art. 1, comma 9.
            -  Circolare M.I.U.R. n. 2787 del 20 Aprile 2011).
. * * *
    Ma torniamo al nostro assunto originario: i minori stranieri, comunque presenti sul suolo italiano, 
sono soggetti all’obbligo scolastico; l’iscrizione alle classi dell’obbligo va accolta in qualsiasi momento dell’anno scolastico, in coincidenza con il loro arrivo e l’iscrizione alle classi della scuola dell’obbligo va accolta in qualsiasi momento dell’anno, in coincidenza con il loro arrivo sul suolo nazionale (D.P.R. n.394/99, art. 45, C.M. del 23/03/2000 n.87 e C.M. del 05/01/2001, n.3 ). Essi  vanno  accolti anche se sprovvisti di permesso di soggiorno o privi di documentazione (art. 45 del DPR n.394/99).Il caso di minori che abbiano superato il 15° anno di età è considerato nel Decreto Ministeriale n.323 del 9 agosto 1999, applicativo della legge n.9/99 (elevamento dell’obbligo scolastico): qualora il minore possa attestare con documentazione idonea di “avere osservato per almeno nove anni le norme sull’obbligo scolastico” è prosciolto dall’obbligo scolastico e quindi non può essere accolto nelle classi della scuola media.
La norma sull’obbligo non dice esplicitamente quali conseguenze derivino nei casi,  abbastanza frequenti, di quei  minori (italiani o stranieri che siano)  che si trovano tra il 15° e il 18° anno di età e che non possono attestare di avere osservato l’obbligo scolastico (almeno, come definito in Italia) per almeno nove anni. L’unica deduzione logica dal testo del Decreto del ’99 è la constatazione che essi non sono prosciolti dall’obbligo   e che non viene esplicitata la necessità del completamento della frequenza della scuola media sino al 18° anno,  possibilità, invece, positivamente  riconosciuta per i minori  portatori di handicap, che hanno  il diritto a  permanere nella scuola dell’obbligo  fino al 18° anno (come previsto dall’art. 316, comma I, del D.Lvo n.297/94.
 Iscrizione ai corsi per adulti presso istituti secondari di II grado
Ai corsi serali per lavoratori  presso istituti secondari di II grado la domanda d’iscrizione va presentata, di norma, entro il 15 settembre (C.M. n. 311/99 e n.3/2001).Possono chiedere l’iscrizione coloro che hanno compiuto il 15° anno d’età e dimostrino che stanno svolgendo attività lavorativa (con attestazione da parte del datore di lavoro o esibizione del libretto del lavoro). Naturalmente, per iscriversi è necessario il possesso della licenza media, o idonea  attestazione di avere compiuta nel Paese d’origine una carriera scolastica pari alla scuola dell’obbligo (attestata nei modi sopra detti), ed essere in possesso dei requisiti indicati al precedente punto 3.1.Il permesso di soggiorno per motivi di studio è ammesso per stranieri in  maggiore età  ovvero per i minorenni affidati (art.32 del D.L.vo 286/98, modificato dall’art.25 della  legge 189/02).
 Inserimento degli alunni stranieri nelle classi
L’iscrizione ad una determinata  classe di un alunno extracomunitario sprovvisto di carriera scolastica pregressa riconoscibile va operata tenendo conto dell’età anagrafica e  delle competenze raggiunteIl minore proveniente dall’estero viene iscritto, in via generale, alla classe corrispondente all’età anagrafica (art.45 del D.P.R.n.394/99). Laddove non si possano accertare le generalità del minore, si considerano valide quelle dichiarate (salvo accertamento che le smentisca). Il collegio dei docenti  ha la competenza di deliberare ordinamento di studi del Paese d’origine del richiedente;2) delle competenze, abilità e livelli di preparazione dell’alunno ;4) del corso di studi eventualmente seguito ;3) del titolo di studio eventualmente posseduto (idoneamente certificato).
l’assegnazione ad una classe diversa tenendo conto:1) dell’
L’iscrizione può essere decida dalla scuola per  una classe diversa a quella corrispondente all’età anagrafica; per classe diversa s’intende non solo la classe  inferiore, ma  anche quella superiore. Nel determinare la classe cui va iscritto l’alunno straniero sprovvisto di documentazione idonea,  si deve tenere conto che una volta avviata,  la sua carriera scolastica nella scuola pubblica italiana segue del tutto le norme generali  e quindi, nel prosieguo di tempo,  non si potranno più ‘correggere’errori di valutazione iniziali. E’questo il caso non raro di minori che al momento dell’accoglienza vengono iscritti a 2-3 classi, o anche più,  inferiori a quelle cui essi dovrebbero essere iscritti per età, ritenendo che questo ‘abbassamento’di classe sia quello più congruente con le competenze linguistiche e strumentali riscontrate nell’alunno al momento  dell’ingresso (naturalmente, quasi sempre inferiori a quelle  degli alunni che hanno svolto il loro percorso tutto in scuole italiane). Dopo qualche tempo, solitamente si registra nell’alunno (più maturo, per vari aspetti rispetto ai più giovani compagni di classe)  un buon recupero sul piano degli apprendimenti e  la scuola, allora,  si rende conto del paradossale e poco utile divario fra l’età del minore e quella dei coetanei di classe, ma non trova, a questo punto,  strumenti giuridici per farlo transitare  ad una classe superiore, più congruente con la sua condizione. Per evitare questo grave errore, quindi, il criterio dell’età deve restare quello prevalente nel decidere l’assegnazione alla classe; gli apprendimenti vanno, piuttosto, sostenuti con azioni di recupero individualizzate e con modalità flessibili di lavoro attuate nei primi mesi di inserimento. In ogni caso, l’eventuale perdurare di gravi carenze negli apprendimenti potrà essere valutata, a conclusione dell’anno scolastico  ai fini di una non ammissione alla classe successiva.
 Premesse all’azione educativa
   L’elaborazione di un percorso formativo non può che essere personalizzato,  evitando di cadere in generalizzazioni o in schemi validi per tutti. Va posta sicuramente attenzione alla cultura di provenienza dei minori, ma anche alle capacità e alle caratteristiche individuali di  ciascuno di essi, dato che le differenze inter-individuali sono altrettanto e forse anche più rilevanti di quelle inter-culturali (rischio degli ‘stereotipi’).
    Gli alunni stranieri, che vanno visti, innanzitutto come bambini e ragazzi,  non sono tutti uguali: ognuno di si devono distinguere i soggetti di recente immigrazione da quelli il cui arrivo è più remoto”, ricordava  la  C.M. 301/89). L’elaborazione di un percorso formativo non può che essere personalizzato, senza cadere in generalizzazioni o in schemi validi per tutti. Va posta  attenzione alla cultura di provenienza dei minori, ma anche alle capacità e alle caratteristiche individuali di  ciascuno di essi, dato che le differenze inter-individuali sono altrettanto e forse anche più rilevanti di quelle inter-culturali (si corre sempre il rischio di considerare gli stranieri secondo degli ‘stereotipi’).
essi ha capacità, interessi, livelli di competenza e componenti di personalità propri. Al momento del loro presentarsi a scuola i minori hanno già una loro storia culturale e differenti condizioni maturate  nel caso di pregresso soggiorno nel  nostro Paese ( “…
     Un aspetto, diffusamente presente nella normativa internazionale e nazionale, è quello che si riferisce alla salvaguardia dell’identità culturale di minori. La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, art.29 prevede: “ Gli Stati parti concordano che l’educazione …deve tendere a [ ..]. inculcare al fanciullo il rispetto dei genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del Paese in cui vive, del Paese di cui è originario e delle civiltà diverse dalla propria...”.L’art.115 del T.U., richiamando  la Direttiva CEE n.77/486,  precisa che per i figli di stranieri dei Paesi della Comunità europea la “programmazione educativa deve comprendere apposite attività di sostegno o di integrazione, in favore dei medesimi, al fine di a) adattare l’insegnamento delle lingua italiana e delle altre materie di studio alle loro specifiche esigenze;b) promuovere l’insegnamento della lingua e della cultura del paese d’origine coordinandolo con l’insegnamento delle materie obbligatorie comprese nel piano di studi”.
      Per la realizzazione degli  obiettivi sopra indicati l’ordinamento scolastico italiano non prevede  interventi diretti, quali l’assegnazione o l’utilizzo di docenti con competenze nella lingua d’origine degli alunni stranieri; tali misure, infatti, dovrebbero  essere realizzate con il concorso o dello Stato straniero cui appartiene il gruppo, analogamente a quanto lo Stato italiano fa con i figli dei cittadini migranti all’estero, o di altri soggetti (enti locali, associazioni di volontariato), con la messa a disposizione della scuola di risorse da impiegare in attività di natura integrativa.
 Strumenti e fondi per organizzare e gestire risorse per l’integrazione
    Premesso che l’uso sovrabbondante  e scarsamente mirato di fondi europei FSE ( che da soli , e in minima parte, basterebbero a finanziare un’azione di accoglienza seria e produttiva di questi minori  in tutte le scuole statali e paritarie) nelle scuole fino a questo momento non ha mai dato origine ad una seria e indispensabile integrazione dei minori immigrati, si può comunque osservare che la scuola autonoma ha nell’elaborazione del POF lo strumento fondamentale per la ricerca di modalità flessibili e individualizzate nel
definire percorsi integrativi  per gli alunni stranieri. L’autonomia gestionale consente di impiegare figure educative diverse ( anche di madrelingua) da inserire nell’azione a favore dei minori stranieri.
     Fino ad alcuni anni fa  tuttavia non esisteva una normativa appositamente pensata  per affrontare la problematica dell’inserimento degli alunni stranieri. Varie disposizioni, nate per integrare i portatori di handicap e sperimentare soluzioni didattiche innovative e flessibili, sono state adattate per far fronte alle nuove esigenze poste dall’immigrazione, iniziata nel Veneto sul finire degli anni ’80 del secolo scorso. Successivamente, la problematica è stata oggetto di provvedimenti legislativi e di contratti  nazionali di lavoro del personale scolastico. Attualmente, il quadro normativo imperniato sul conferimento alle scuole dell’autonomia gestionale (previsto a partire dalla legge n.59 del 1997), rappresenta sicuramente lo strumento principale per affrontare tutti quegli aspetti, come quello dell’integrazione degli stranieri, che richiedono la costruzione di appropriate e specifiche soluzioni.
    L’accoglienza e l’inserimento degli alunni stranieri richiedono certamente  risorse aggiuntive di personale ed economiche per realizzare  interventi appropriati, che non possono effettuarsi con gli ordinari mezzi a disposizione  e non sempre sono collocabili  all’interno della comune programmazione curricolare.Fino a poco fa l’unico strumento su cui poteva far leva  la scuola era l’organico del personale docente d’istituto, all’interno del quale ricavare qualche unità di personale da impiegare a tempo pieno o parziale in attività di recupero individualizzato o per attività d’integrazione coinvolgenti la generalità degli alunni. E, soprattutto, gli uffici scolastici provinciali potevano fino a qualche anno fa destinare, all’interno della dotazione organica provinciale (d.o.p.), unità di personale da utilizzare per progetti di inserimento di alunni stranieri e nomadi.
      Le  criminali restrizioni poste dalle leggi finanziarie  al numero delle classi e agli organici del personale hanno progressivamente limitato la disponibilità di posti-insegnante impiegabili allo scopo e l’abolizione della “d.o.p.”, a seguito dell’introduzione dell’organico funzionale di circolo e dell’autonomia scolastica, hanno fatto venire meno le possibilità e le ragioni stesse di ‘integrazioni’d’organico operate a livello  amministrativo regionale o provinciale. Ma anche l’avvento dell’organico funzionale di circolo/istituto, unito all’aumento medio di alunni per classe, rende difficile alla scuola   ricavare dal monte-ore dell’orario di servizio dei docenti (assegnati sulla base del numero delle classi e degli alunni) sufficienti risorse per mettere in atto azioni e progetti  per l’integrazione degli alunni stranieri.Più concreta possibilità di progettazione e d’intervento è stata aperta dal conferimento  della personalità giuridica a tutti gli istituti nel quadro dell’autonomia scolastica, la quale, in qualche modo sposta il baricentro delle risorse dall’organico del personale al budget di bilancio dell’istituto.
      Le scuole, usufruendo dei finanziamenti ministeriali e di  eventuali altre fonti  (enti locali,  associazioni, etc),  possono programmare e realizzare una serie di attività didattiche, che vanno dagli interventi mirati al rafforzamento delle conoscenze di base negli alunni stranieri (corsi di lingua italiana, recupero abilità cognitive di base) ad  azioni volte a coinvolgere la generalità degli alunni, nell’ottica di un confronto multi-culturale e dell’acquisizione di un fondato senso del rispetto reciproco: pacchetti formativi per l’accoglienza e la conoscenza dell’ambiente ospite, laboratori multi-culturali musicali, teatrali, linguistici.
       Ma tutto ciò comporta grande attenzione e grande cura nell’impiego delle risorse, anche delle briciole!!
Tutela sanitaria
       Non si può trascurare un elemto anch’esso fondamentale strettamente connesso con la scolarizzazione dei minori stranieri,  la tutela sanitaria! Anche se entrati in territorio italiano in modo non regolare,  vanno loro assicurate le prestazioni del Servizio sanitario nazionale. In particolare, l’art. 35 del Testo Unico (D.L.vo n.286/98) assicura: b) la tutela della salute del minore in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176;c) le vaccinazioni secondo la normativa e nell’ambito di interventi di campagne di prevenzione collettiva autorizzati dalle regioni.
Strategie didattiche  per l’integrazione (in sintesi)
     L’integrazione dell’alunno straniero, partendo  da un rapporto di aiuto e di comprensione realmente interculturale ( quanti oziosi e costosi convegni inutili sono stati realizzati sull’interculturalità senza alcuna ricaduta, sia pur minima, nel concreto), deve mirare al raggiungimento di  una solida competenza nelle abilità e conoscenze di base, per renderlo capace di inserirsi  autonomamente nel nostro contesto scolastico.
     Nella programmazione di azioni mirate all’integrazione degli alunni stranieri occorre tenere realmente presenti alcune elementari  istanze educative quasi sempre disattese: a. Partire  non solo da ciò che l’alunno straniero “non sa”, ma anche  dalla  sua esperienza, dal suo sfondo emotivo-relazionale e dal suo patrimonio culturale (vedasi anche l’art. 45, comma IV,  del D.P.R. n.394);b. Cercare di stabilire fin dall’inizio un rapporto con le famiglie degli alunni stranieri e di comunicare quanto più efficacemente possibile con esse, avvalendosi, se necessario, di ‘mediatori culturali[;c. Prevedere non solo attività individuali di ‘recupero’, ma attività che coinvolgano l’intera comunità scolastica e, possibilmente, anche quella esterna locale, per sollecitare l’attenzione alla multi-cultura e per avviare una corretta  educazione interculturale (progetti di accoglienza, momenti di incontro aperti alla comunità locale, laboratori multi-culturali, attenzione ai vari patrimoni etnici nel dotare la biblioteca e le raccolte multimediali della scuola, incontri con associazioni e rappresentanze di stranieri).d. Essere consapevoli che l’integrazione non può avvenire senza il conseguimento di solide competenze di base. Particolare attenzione iniziale va posta al sostegno linguistico (eventualmente, effettuato anche  in orario aggiuntivo a quello normale), svolto a cura di personale docente o anche da  idonei esperti esterni con contratto d’opera, usufruendo delle risorse economiche e delle possibilità gestionali proprie dell’autonomia scolastica;e. Attenzione e valorizzazione per la lingua e  cultura del Paese di origine, con il ricorso anche a “mediatori culturali” reperiti fra il volontariato o la comunità d’appartenenza del minore (assimilabili giuridicamente ad esperti esterni );f. Attività di recupero e sostegno individualizzato (senza, però, arrivare a compromettere l’integrazione in un gruppo-classe), utilizzando tutte le risorse possibili (ore di  contemporaneità) nell’ambito dell’organico funzionale di scuola materna ed  elementare, delle ore a disposizione per il completamento cattedra nelle scuole secondarie;  prestazioni in  orario aggiuntivo dei docenti.
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       La sintesi completa dell’intera normativa in vigore su questa complessa materia è riportata nella sezione “Documenti della Consulta Scuola, Cultura , Educazione e delle Scuole paritarie S.D.C.” (link nella colonna a dx).

venerdì 5 luglio 2013

NASCE A REGGIO CALABRIA UN CENTRO STUDI, DOCUMENTAZIONE E RICERCA SULLA " PEDAGOGIA DELLA LIBERAZIONE"


    La pedagogia della Liberazione, ispirata al pensiero ed alle prassi Di Paulo Freire, Enrique Dussel, Augusto Boal, Don Lorenzo Milani, Danilo Dolci, Augusto Capitini, Ivan Illich, trova nel carisma e nello stile educativo creato da Jeanne Antide Thouret aspetti non solo aspetti concreti di concordanza, ma una fonte assolutamente ricca e pura di valenze formative, educative e metodologiche che vale senz'altro la pena approfondire e a cui attingere per rivitalizzare  tanti contesti scolastici, statali e paritari, inariditi anche da uno stratificarsi acritico di conformismi pedagogici e didattici privi di  coerenza e soprattutto di entusiasmo.

   Proprio in uno degli istituti della Congregazione, il " San Vincenzo de' Paoli" di Reggio Calabria, istituto omnicomprensivo, fortemente connotato per la sua dimensione storica e la sua funzione formativa nel sud della Penisola e oggi proiettato anche verso una dimensione più "mediterranea" della scuola, intesa anche come luogo di integrazione, crescita e  formazione di etnie diverse, nasce il CENTRO STUDI, DOCUMENTAZIONE E RICERCA SULLA  PEDAGOGIA DELLA LIBERAZIONE, della cui vita  questo blog, insieme con altri media, potrà  diventare voce .

    Ma perchè "Pedagogia della Liberazione" ?

  L'educazione è "liberatrice", secondo Paulo Freire
in quanto nessuno educa nessuno - nessuno educa se stesso - gli uomini si educano tra loro, con la mediazione del mondo, in comunione. Essa lega la persona al mondo, si afferma e si fonda nella realtà che cambia continuamente, s’innesta verso la vocazione ontologica dell’uomo ad essere più stimolando la creati¬vità umana. Parte dalla necessità di superare la contraddizione educatore-educando (una situazione gnoseologica in cui l’atto di conoscenza è mediato dal mondo), poiché considera l'uomo come un essere che sceglie, il cui momento di decisione si trova nelle sue relazioni col mondo e con gli altri. Infine dà esistenza all'essenza fenomenica
dell'educazione che è la sua dialogicità.   L'educazione diventa allora dialogo, il quale fa parte della stessa natura umana; gli esseri umani “si costruiscono” attraverso il dialogo poiché sono fondamentalmente comunicativi. E questo è il momento in cui gli uomini s’incontrano per superare la contraddizione dialettica educatore/educando. 
    Il DIALOGO è una relazione orizzontale di simpatia, un’intercomunicazione alla cui base vi è amore,
speranza, fiducia reciproca, umiltà, che genera un atteggiamento critico profondo che permette di comunicare. Il dialogo è la forma più genuina di comunicazione, in quanto favorisce l’espressione altrui. Paulo Freire in ultima analisi ritiene che l’educazione sia soprattutto relazione e la identifica con il dialogo.
     Dalla letteratura in materia educativa emerge che l’intervento professionale mira a promuovere il pieno sviluppo delle potenzialità di crescita personale e di partecipazione sociale dell’educando. Per il raggiungimento di tali obiettivi l'educatore è chiamato ad agire sulla relazione interpersonale, sul sistema
familiare, sul contesto ambientale e sull'organizzazione dei servizi, quindi sul contesto generale di vita dell’educando. La crescita personale riguarda sia l'educando che l'educatore perché la relazione educativa è un processo che accomuna sempre le due soggettività interagenti in quanto il lavoro sulla quotidianità richiede la costruzione di significati che coinvolge necessariamente entrambi. Il dialogo non è altro che Il colloquio di aiuto in cui l'educatore lavora in una logica di progettazione di interventi educativi o rieducativi che si realizzano nella relazione diadica.
  All’educazione liberatrice, Freire, contrappone un"educazione bancaria"che consta di un processo educativo che è atto permanente di depositare contenuti, in cui la conoscenza consiste in un atto passivo di ricevere, L'educando è come un contenitore vuoto. Nega all’uomo la sua vocazione ontologica ad essere più, come essere della ricerca permanente, come essere della prassi, quindi nega le relazioni uomo-mondo, la creatività dell’uomo. E’ Caratterizzata
dall’antidialogo, una relazione verticale in cui il rapporto di simpatia è spezzato e non può, per la sua stessa natura, consentire una vera comunicazione, fa delle comunicazioni. Un’educazione che non sia fatta di dialogo, uccide il potere creatore non solo di colui che si educa, ma anche dell’educatore, perché quest’ultimo si trasforma in un uomo che impone delle formule e delle comunicazioni, passivamente accolte dagli educandi: essi ricevono le informazioni che vengono conservate così come sono, non vengono integrate e generalizzate.


      In queste annotazioni ci sembra di rileggere tante delle linee del   carisma educativo delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret...!

lunedì 1 luglio 2013

E' VERO LO "STRESS FINALE" DEI DOCENTI NEL DILEMMA SE PROMUOVERE O "BOCCIARE"?

   E' uno stress senz'altro vero, ma decisamente sbagliato e fuori luogo, atteso che ogni docente
"promuove o boccia" lungo l'anno scolastico e non già o non solo al tavolo degli scrutini finali e/o degli esami, conclusi da poco ( o in via  di espletamento conclusivo nelle secondarie di II grado), tanto che, ancora una volta, nell'ambito di una provocatoria quanto necessaria PEDAGOGIA DELLA LIBERAZIONE ( di cui sta nascendo un interessante centro studi in una delle nostre scuole),  ci sembra assai interessante la riflessione che vi proponiamo.
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    La linea di principio cui si impronta tutto il RAPPORTO FAURE, si ritrova sostanzialmente riprodotta nell’art. 1 del Regolamento dell’Autonomia scolastica (cui si stanno adeguando le nostre scuole paritarie)
, laddove si afferma che "L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento ". (Art. 1 del D.P.R. 8.3.1999, n. 275).
     In effetti, la normativa pone come obiettivo
includibile il successo formativo di tutti i singoli alunni e, al riguardo indica la strategia da seguire, costituita dal miglioramento della efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.
    Altrove abbiamo scritto che il successo formativo non può essere condizionato dalle potenzialità dei singoli alunni, ma dipende dalle strategie formative che i docenti ed il loro collegio mettono in atto.
      Scrive Kant che " La bestia è già resa perfetta dall’istinto… L’uomo invece… non possiede un istinto e deve quindi formulare da sé il piano del proprio modo di agireLa specie umana deve esprimere con le sue forze e da se stessa le doti proprie dell’umanità. Una generazione educa l’altra… L’uomo può diventare tale solo con l’educazione ".
    Il compito della scuola è quello di promuovere l’umanizzazione dei giovani, il loro divenire uomini, acquisendo i valori che sono propri dell’umanità, in una forma singolare che è frutto del contesto formativo e del progetto della propria umanità che ogni singolo giovane via via esprime.
      Come scrive il Doll: " Per capacità potenziali dei singoli noi intendiamo quelle potenzialità di grandezza imprevedibile, che possono scaturire dall’interno della personalità: potenzialità che possono venire sviluppate o ridotte col processo educativo… le capacità potenziali non sono considerate come delle qualità congenite nell’individuo, che divengono attuali attraverso un processo di maturazione su cui non influisce in alcun modo l’ambiente. Anzi, queste capacità si sviluppano e si “manifestano nello scambio dinamico di influssi fra l’individuo e il suo ambiente”. Vengono definite capacità “potenziali” perché sono un modo di essere dell’individuo, sono una capacità individuale di reagire positivamente e in modo praticamente imprevedibile: “senza alcun preconcetto quanto ai …limiti” delle capacità potenziali…. L’essenza della concezione ebraica e greca dell’uomo era invece di porre l’accento sulla personalità umana dotata di capacità potenziali illimitate, di considerare positivo il fatto che gli sviluppi della personalità umana sono imprevedibili…".
     Non esiste la scolaresca, costituita da venticinque studenti, ciascuno dei quali deve essere aiutato nel suo impegno a costruire la propria personalità, originale, irripetibile, singolare.
     Non esiste una scolaresca di venticinque
studentii che possono essere impegnati negli stessi apprendimenti, con le stesse strategie e tecnologie, magari costituite dalla voce del docente, dal libro di testo e, a volte, dalle stesse tecnologie educative. Il compito fondamentale dei docenti è quello di personalizzare l’attività formativa, individuando attraverso quali attività ogni studente riesce a realizzare la sua irripetibile personalità.
      E’ questo il significato della valutazione formativa.
      Ovviamente, la valutazione formativa ha significato se si attua in una scuola che privilegia le unità di apprendimento e non le lezioni.